Operatori sanitari e tortura nel contesto del Genocidio in atto in Palestina

Il ruolo della tortura nell’attuale genocidio
a Gaza da parte di Israele

https://drive.google.com/file/d/1YDhh0K-VQGJAjui9XQEDjeBmjgjTD4AH/view

https://drive.google.com/file/d/1vec2Ut9eoEB5ukeZsIGHtlRFYZSsNRdB/view?pli=1

 

Il ruolo della tortura nell’attuale genocidio a Gaza da parte di Israele: focus sulle uccisioni, i rapimenti e le torture degli operatori sanitari; la prassi del personale medico israeliano nel sistema di detenzione dell’apartheid palestinese è in conflitto con il diritto umanitario e l’etica professionale.
Sommario:
Questo documento ha lo scopo di rivedere brevemente l’ampia documentazione sull’uso prolungato e sistematico della tortura sui prigionieri di guerra, sui civili e sul personale sanitario da parte di Israele come strumento per tentare di impedire l’esistenza dei civili e spezzare la resistenza della popolazione palestinese all’occupazione.
Gli aspetti storici, legali, etici e sociali coinvolti nella pratica della tortura da parte dell’esercito israeliano, spesso con la complicità del personale sanitario, sono presentati in breve.
La complicità medica nella tortura è rifiutata e denunciata da alcuni individui e organizzazioni israeliane. Rafforzate dalla condanna di parte della comunità internazionale, le testimonianze a disposizione supportano fortemente l’idea che la tortura, oltre che illegale, è ben lungi dall’essere utilizzata semplicemente per ottenere informazioni o confessioni dai prigionieri, sospettati con o senza fondamento fattuale. Essa piuttosto è utilizzata come strumento per perseguire una politica di sostituzione e di guerra che mira a disarticolare sistematicamente la resilienza dei palestinesi nel perseguire l’autonomia nella loro patria e opporre una legittima resistenza allo status quo della propria occupazione.
Nella guerra in corso, l’ostinazione e la furia contro il personale sanitario a Gaza e il coinvolgimento di professionisti medici israeliani nella tortura appaiono evidenti, dato che hanno un ruolo centrale nel progetto genocida di “eliminazione delle condizioni di vita” per la popolazione di Gaza.
Qui documentiamo brevemente questi aspetti.
Per una prospettiva più dettagliata sugli attacchi alle strutture mediche, che sono paralleli a questo progetto genocida, vedi il report che sanitari per Gaza ha redatto “La distruzione del sistema sanitario a Gaza, Aprile 2024” scaricabile gratuitamente in italiano ed inglese al link:
https://linktr.ee/sanitaripergaza
La tortura ha una definizione legale nell’Articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (UNCAT, 1) in vigore dal 1987, firmata e ratificata nell’ottobre 1991 da Israele.
Articolo 1.
Ai fini della presente Convenzione, il termine “tortura” significa qualsiasi atto mediante il quale un dolore o una sofferenza gravi, fisici o mentali, sono intenzionalmente inflitti a una persona per scopi quali ottenere da questa o da una terza persona informazioni o una confessione, punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, o intimidirla o costringerla o una terza persona, o per qualsiasi motivo basato su una discriminazione di qualsiasi tipo, quando tale dolore o sofferenza sono inflitti da o su istigazione di o con il consenso o l’acquiescenza di un pubblico ufficiale o di un’altra persona che agisce in veste ufficiale. Non include il dolore o la sofferenza derivanti solo da, inerenti o accessori a sanzioni legittime.
La convenzione è vincolante per ciascun firmatario anche in circostanze di guerra o conflitto.
Articolo 2
– 1. Ogni Stato Parte adotta misure legislative, amministrative, giudiziarie o di altro tipo efficaci per prevenire gli atti di tortura in qualsiasi territorio sotto la sua giurisdizione.
2. Nessuna circostanza eccezionale, di qualsiasi tipo, che si tratti di stato di guerra o minaccia di guerra, instabilità politica interna o qualsiasi altra emergenza pubblica, può essere invocata come giustificazione della tortura.
3. Un ordine di un ufficiale superiore o di un’autorità pubblica non può essere invocato come giustificazione della tortura.
Amnesty International (2) ha inoltre sottolineato che, sebbene il diritto internazionale faccia una distinzione tra tortura e altre forme di maltrattamento, le proibisce tutte in modo assoluto e incondizionato, come nell’articolo 7 dell’UNCAT “nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti”.
La Dichiarazione universale dei diritti umani (UDHR- https://www.un.org/en/about-us/universal-declaration-of-human-rights) adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a Parigi il 10 dicembre 1948 è il documento fondamentale nella storia dei diritti umani. Tutti i 193 stati membri delle Nazioni Unite hanno ratificato almeno uno dei nove trattati vincolanti influenzati dalla Dichiarazione, con la stragrande maggioranza che ne ha ratificati quattro o più. Israele, che si è autodichiarato indipendente solo il 14 maggio 1948, ha firmato la Convenzione il 3 luglio 1990 e l’ha ratificata il 4 agosto 1991.
La UDHR, è non vincolante ma ha ispirato l’adozione di oltre settanta trattati sui diritti umani applicati oggi in modo permanente a livello globale e regionale. L’articolo 5 della Dichiarazione afferma che “Nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni
crudeli, inumani o degradanti”. Dalla DUDU discende anche la Convenzione contro la tortura, i trattamenti e le punizioni crudeli, inumani e degradanti adottata dall’ONU nel 1984 e ratificata fino ad oggi da 173 stati, tra cui Israele
Non tutti gli stati firmatari hanno concesso un’immediata attuabilità o un rispetto continuativo della convenzione.
Come tutte le leggi internazionali che comportano limitazioni per i poteri degli stati membri, ha incontrato difficoltà e applicazioni diversificate.
La strada per l’abolizione effettiva e la fine della tortura e dell’abuso di potere a livello globale è ancora lunga e cruciale (3).
Istituzioni mediche internazionali e tortura
Durante l’Olocausto alcuni dottori svolsero un ruolo attivo nelle torture effettuate nei campi di prigionia, vedasi il Dr Josef Mengele.
Da queste esperienze prese spunto un percorso che portò alla creazione nel 1947 della “World Medical Association” (WMA) per regolamentare la moralità della professione medica apportando un’importante aggiunta al giuramento di Ippocrate e introducendo il dovere del medico di non discriminare in base all’affiliazione religiosa, nazionale, politica o sociale del suo paziente.
Nel 1949 la WMA ha pubblicato il Codice di etica medica. Nel 1956 ha redatto le regole da applicare nei conflitti armati.
La Dichiarazione di Tokyo, considerata il documento di riferimento a livello internazionale, è stata adottata dalla WMA nel 1975 e stabilisce 6 principi guida in materia di tortura.
Nel 1982, l’ONU ha adottato un documento per regolamentare l’etica medica in termini di comportamento dei dottori con prigionieri di guerra o conflitti armati. In particolare, proibisce ai medici e a tutto il personale paramedico di praticare la tortura e stabilisce che i prigionieri di guerra hanno diritto alle cure e ai trattamenti medici alla pari degli uomini liberi.
Torturare i prigionieri palestinesi:
una vecchia tradizione di Israele
Sebbene Israele abbia dovuto affrontare notevoli critiche da parte dei sostenitori dei diritti umani in merito al trattamento generale dei palestinesi da parte dell’occupazione, nulla si è dimostrato più problematico, in termini sia di immagine di sé che di immagine nel mondo, della presunta tortura dei palestinesi. È sorprendente che in un regime democratico autodefinito come può apparire a prima vista Israele, con un sistema legale ben sviluppato, firmatario dell’UNCAT, la complicità medica nel facilitare la tortura sia iscritta nella legge.
Due importanti pronunciamenti legali sulle pratiche di interrogatorio ammissibili nei Territori Occupati, il Rapporto della Commissione Landau del 1987 e l’Alta Corte di Giustizia (HCJ) del 1999, si sono pronunciati specificamente su questo problema, affrontando i metodi di interrogatorio del Servizio di Sicurezza Generale (GSS) e hanno permesso di intravedere i contorni, se non i dettagli, delle pratiche di interrogatorio israeliane.
La Commissione Landau, presieduta dall’ex giudice della Corte Suprema israeliana Moshe Landau, fu nominata nel maggio 1987 per indagare sui GSS, noti anche come “metodi di interrogatorio dello Shin Bet in relazione ad attività terroristiche ostili”, e sulle testimonianze in tribunale relative agli interrogatori dei palestinesi.
La Commissione scoprì che dal 1971 la politica degli interrogatori del GSS era quella di estorcere confessioni ai palestinesi tramite mezzi coercitivi e di spergiurare di fronte ai tribunali militari per nascondere il fatto di aver estorto confessioni.
Inoltre, gli agenti del GSS mentivano sistematicamente ai giudici militari in merito all’uso della tortura per estorcere confessioni ai detenuti palestinesi e che la pratica era diventata di routine, distribuita tramite il GSS secondo linee guida!
La sentenza del 1999 dell’Alta Corte di Giustizia getta ulteriore luce sulle pratiche degli interrogatori israeliani e sulla tolleranza per “pressioni moderate” durante gli interrogatori.
La soluzione legale delle contraddizioni fu trovata dalla Commissione Landau, che genericamente ammette “pressioni fisiche e psicologiche moderate” (4) Landau (paragrafo 4.7) sebbene specifichi che i criteri di urgenza debbano essere soddisfatti, questi ultimi non sono collegati alla necessità che vi sia una valutazione fattuale o una successiva responsabilità (5).
Il comitato ONU contro la tortura ha affermato che il rapporto della Commissione Landau, consentendo come fa la “pressione fisica moderata” come modalità legale di interrogatorio, “è completamente inaccettabile per questo comitato”.
La tortura, ampiamente documentata dalla stampa internazionale e dalle principali ONG per i diritti umani contro i prigionieri palestinesi negli ultimi 10 mesi, compresi gli operatori sanitari, illustra un cambiamento di paradigma sia nelle modalità disumanizzanti impiegate sia nell’intento genocida che trasmette.
Infatti, a differenza della tortura degli anni passati, volta a estorcere una confessione individuale a un prigioniero politico, documentata lungo tutto il suo svolgimento per ottenere deleghe e per spaventare preventivamente ogni dissenso, la tortura praticata in questi mesi contro i palestinesi ha il chiaro scopo di sterminio morale e di civiltà di un’intera popolazione.
Una funzione storica della tortura è quella di estrarre informazioni dalle persone, ma minacciare o torturare una buona parte o un’intera popolazione ha l’obiettivo implicito di ridurre l’intera popolazione a un’unica lingua.
Il torturatore al potere si rappresenta come l’incarnazione dei “buoni valori” e la tortura diventa un modo per confinare coloro che non sono d’accordo e/o non si conformano a queste pratiche, come portatori di valori “cattivi”, pericolosi e fuori dal sistema.
Ogni persona dissenziente deve conformarsi con la forza e la violenza.
Per Francoise Sironi, “la tortura moderna si trova spesso in società che sono deculturalizzate o che stanno subendo un rapido processo di deculturazione” (Sironi, Françoise. Bourreaux et Victimes: Psychologie de la torture. Odile Jacob) e diventa parte integrante di questo processo.
Marcello Vignar definisce la tortura come una condanna a privare della struttura identitaria che ci definisce come persone “qualsiasi comportamento intenzionale, qualunque sia il metodo utilizzato, che abbia lo scopo di distruggere le convinzioni della vittima”, e considera gli autori, emissari del potere violento, utilizzato per ottenere la sottomissione totale e la paralisi dei governati.
La tortura è quindi lo strumento attraverso cui si tenta di “devitalizzare”, “disattivare” coloro che sono considerati un pericolo per l’ordine costituito. “Il gesto del carnefice”, scrive Michel de Certeau, “marca nella carne quell’ordine che vuole ottenere l’assenso attraverso la sottomissione”.
In questo contesto, l’attuale incremento della tortura dei prigionieri palestinesi da parte di Israele sta aggiungendo prove a favore del “presunto genocidio” prefigurato dalla Corte internazionale di giustizia, e sta supportando le prove di una chiara intenzione di danneggiare ampiamente una specifica comunità umana.
Attraverso la tortura di un singolo individuo, è in realtà il gruppo a cui quella persona appartiene a essere preso di mira: la “parte collettiva” dell’individuo viene attaccata, la parte che lo collega a un gruppo designato come bersaglio dall’aggressore, minacciando e condannando il legame tra quel dato individuo e il suo gruppo collettivo.
Peculiarità e profondità degli obiettivi nell’amministrazione ed estensione
della tortura in Israele
Di seguito alcuni punti che illustrano la particolarità della situazione:
– Tortura e Apartheid: la tortura nei territori palestinesi occupati (oPt) è riservata ai palestinesi e nelle carceri israeliane non è tortura equamente per tutti, ma è consentita nei confronti della popolazione occupata, per la quale è stato istituito un sistema legale militare
separato con regole, personale e procedure diverse da quelle degli organi di giustizia civile che governano Israele.
Come parte aggiuntiva di questo regime di apartheid, accordi legali sono stati introdotti dalla commissione Landau nel 1987 per consentire l’uso di “moderata quantità di forza fisica durante l’interrogatorio” da parte dei militari; questo è stato considerato una legalizzazione di fatto della tortura dagli organismi delle Nazioni Unite.
– Detenzione amministrativa: la “presunzione” è applicata per giustificare le detenzioni: i palestinesi commettono crimini di ribellione e terrorismo. L’uso di questo pregiudizio giustifica le cosiddette regole di “detenzione amministrativa”. Le persone vengono detenute amministrativamente fino a 6 mesi senza accusa e senza la prospettiva di un processo, e sono soggette a reiterazione indeterminata di incarcerazione o di re-incarcerazione in qualsiasi momento, una forma di tortura e intimidazione in sé, anche quando sono fuori dalla prigione. Essenzialmente un modo per prendere la vita delle persone in ostaggio.
– Tortura equamente per tutt*: tra i palestinesi il sistema non distingue per età, sesso o disabilità. I minori e le persone malate vengono trattenute e trattate male come gli adulti sani. Il caso di Ahmad Manasra è esemplare della tortura applicata anche ai minori (6).
– Tortura come punizione: la tortura nelle carceri israeliane non è limitata solo al tempo degli interrogatori, ma è usata come procedura prolungata e come punizione, raggiungendo forme estreme anche per i detenuti amministrativi, come nel caso di Khader Adnan, che è stato lasciato morire nel 2023 nel corso di uno sciopero della fame nel quale chiedeva un processo o la liberazione dalla sua 13esima reclusione amministrativa e dal settimo anno di detenzione (7).
– Tortura nella malattia: la tortura si attua anche tramite la negazione delle cure mediche e del ritorno a casa per i prigionieri malati terminali, come nel caso di Walid Daqqa che aveva scontato 38 anni su 40 di condanna ed è stato costretto a morire in carcere (8).
Quanto sopra illustra come nel regime di tortura israeliano sia centrale il ruolo della complicità/inadeguatezza medica e della mancata assistenza sanitaria; nonostante ciò dal 7 ottobre la tortura ha raggiunto un picco diverso di intensità, pervasività e persistenza durante tutto il periodo di detenzione.
I seguenti sono particolarmente approfonditi nel presente opuscolo.
– Tortura per punire la comunità: l’incarcerazione con finalità di tortura non serve solo a estorcere informazioni, ma ha anche il ruolo di punizione preventiva e intimidazione di intere famiglie e comunità.
Questa caratteristica si è rafforzata a partire dal 7 ottobre comportando l’incarcerazione di 9.500 persone in Cisgiordania e il rapimento di 3-5.000 palestinesi nel corso di rastrellamenti effettuati dall’esercito israeliano nelle strade, nelle case, nelle scuole, negli ospedali.
Per lo più non c’erano accuse nei confronti dei desaparecidos e la quasi totalità dei rilasciati ha subito torture.
– Tortura e personale sanitario: nel contesto degli attacchi a Gaza un numero sproporzionato di personale medico e di operatori umanitari e assistenziali è stato ucciso o rapito in modo mirato; il personale sanitario sequestrato è stato torturato con particolare aggressività, provocando la morte di almeno due medici.
– Il sequestro dei guaritori: la detenzione e l’abuso di operatori sanitari, un gruppo protetto dalle leggi e dalle convenzioni internazionali, ha un impatto profondo che priva l’intera popolazione delle cure perseguendo l’intento genocida di Israele.
– Progetto genocida: La sproporzionata presa di mira di operatori sanitari va di pari passo con la deliberata distruzione di tutte le strutture sanitarie a Gaza e il blocco di forniture mediche, strumenti e carburante per gli ospedali.
Si conferma anche in questo caso l’intenzionalità nell’ostruire il potenziale funzionamento e la futura ripresa del sistema sanitario gazawi. La disattivazione del sistema sanitario ha cascate di conseguenze, aumentando l’insicurezza e la morte ed è comprensibile solo come un tassello del progetto genocida complessivo che l’attuale assalto militare criminale desidera esplicitamente raggiungere.
Tutto quanto sopra pone Israele al di fuori dei confini delle regole e delle leggi internazionali.
– Metodi di tortura: mentre i metodi di tortura segnalati di recente includono quelli noti da almeno 50 anni (2), ciò che è cambiato radicalmente dal 7 ottobre è la continuità nella coercizione, il fatto che la tortura non è utilizzata solo per estorcere informazioni, ma come mezzo per punire la resistenza pacifica civile, come quella del personale sanitario che si rifiuta di abbandonare i pazienti, e la tortura è imposta senza limiti fino al punto di determinare la morte e la perdita della mente.
Per le ferite inferte si arriva addirittura ad effettuare amputazioni.
Tra i metodi di tortura testimoniati dai prigionieri rilasciati si contano: l’imposizione di privazioni estreme nell’alimentazione, nell’igiene collettiva e personale; la privazione e/o l’assalto sensoriale e la negazione della libertà di posizionare il proprio corpo nello spazio per lunghi periodi. Queste torture emergono dalle parole e dalle cicatrici visibili sui loro corpi. Anche il numero di morti in prigione in questi 9 mesi è aumentato in un modo mai visto prima.
– Segni di Tortura: la documentazione della tortura attuale e passata è abbondante e la sua negazione è impossibile. Dal 2023 tutti i prigionieri gazawi rilasciati dal carcere, controllati dall’UNWRA e dalla Croce Rossa Internazionale, mostrano una grave perdita di peso, la maggior parte ha ferite su polsi e caviglie dove sono stati applicate fascette di plastica 24 ore su 24.
Molti hanno segni di colpi, ustioni o morsi di cane, hanno subito fratture, riportano perdita di orientamento e disturbi alla vista. Numerose video-testimonianze documentano il loro disagio fisico e psicologico.
Almeno 49 detenuti sono morti e tra loro 2 medici, i cui corpi sono tuttora tenuti sotto sequestro da Israele. Migliaia di persone rapite dopo il 7 ottobre sono state rilasciate dopo periodi di tempo che variano dalle 2 settimane agli 8 mesi, la maggior parte è stata detenuta senza accusa o processo. Un certo numero di operatori sanitari rilasciati di recente corrobora e conferma le testimonianze del personale dell’UNWRA e della gente comune rapita da Gaza e dalla Cisgiordania (7).
– Complicità medica: La complicità del personale medico israeliano è stata recentemente segnalata dai whistleblower medici che lavorano nelle carceri israeliane (9) ed è documentata in numerosi rapporti di ONG e articoli di testate israeliane e palestinesi (10).
La complicità medica assume varie forme in Israele: partecipazione attiva alla tortura, consulenza su come gestire la tortura, negazione delle cure necessarie ai detenuti torturati. Inoltre, il personale medico che lavora nelle carceri è protetto dalla responsabilità perché non firma le proprie raccomandazioni.
Questa complicità non è certo una novità, ma non è mai stata riconosciuta come una violazione dell’etica medica e del giuramento ippocratico da parte di Israele o dell’Associazione medica israeliana (11).
Tuttavia, i medici israeliani che sono partner e compiono torture non solo rinnegano il loro giuramento professionale, ma anche le disposizioni internazionali che regolano il comportamento degli operatori sanitari
KHADER ADNANKHADER ADNAN
come la dichiarazione di Tokyo (12); queste impongono al personale medico di non causare danno a nessuno, nemmeno in un contesto di guerra.
Le regole di Tokyo possono essere riassunte in: non essere presente in contesti di tortura, denunciare se si è a conoscenza dell’uso della tortura, evitare di usare qualsiasi intervento medico non richiesto dalla persona e ignorare sempre le richieste restrittive delle autorità che richiedono il tuo coinvolgimento sulla persona detenuta.
La complicità medica nella tortura in Israele è stata ampiamente denunciata da molto tempo, ma le associazioni mediche locali e mondiali hanno ignorato queste denunce dal 1994.
La complicità delle associazioni mediche in tutto il mondo è una grave violazione della loro legittimità.
Promemoria: tutte le norme internazionali che proibiscono la tortura sono vincolanti anche in contesti di guerra e conflitto (12).
– La punizione del personale sanitario: Le ragioni e i mezzi della tortura sui prigionieri di Gaza e sugli operatori sanitari suggeriscono che una delle funzioni primarie della sua brutalità estesa 24 ore su 24 non sia solo quella di ottenere informazioni, ma sia quella di annientare le forze vitali, l’identità e la dignità dei capisaldi del sistema sanitario e provocare il suo collasso definitivo, quindi un corollario al genocidio e alla pulizia etnica di Gaza.
Prendere di mira preferibilmente gli operatori sanitari nel 2023-24 è anche una punizione alla loro resistenza collettiva all’ordine di abbandonare gli ospedali e i pazienti all’esercito invasore.
I nostri colleghi a Gaza hanno svolto al meglio e fino in fondo il loro dovere di cura, col rischio di venire uccisi dai cecchini o rapiti sotto la minaccia delle armi mentre facevano fronte alla mancanza di medicinali, materiali monouso, elettricità, cibo, acqua.
I loro strumenti sono stari: bisturi, stetoscopio e mani guantate, mentre facevano fronte all’assedio con grande sforzo e compassione. Questa resistenza è stata ampiamente documentata dalla stampa.
Riferimenti:
1- La Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (la “Convenzione sulla tortura”) https://www.ohchr.org/en/instruments-mechanisms/instruments/convention-against-torture-and-other-cruel-inhuman-or-degrading.La Convenzione è entrata in vigore il 26 giugno 1987 https://legal.un.org/avl/ha/catcidtp/catcidtp.html#:~:text=The%20Convention%20against%20Torture%20and,been%20ratified%20by%2020%20States.
2- Indice AI: MDE 15/03/94
3-The Ethics of Torture: Definitions, History, and Institutions
https://doi.org/10.1093/acrefore/9780190846626.013.326
4- https://en.wikipedia.org/wiki/Landau_Commission
5-Amnesty International, July 1991. AI Index:MDE 15/34/91- page 45. “Documento – Israele e i territori occupati: il sistema giudiziario militare nei territori occupati: detenzione, interrogatorio e procedure processuali.” pagina 45.
6-https://english.elpais.com/international/2023-12-05/palestinian-minors-imprisoned-in-israel-sooner-or-later-i-was-going-to-lose-my-mind.html
https://resourcecentre.savethechildren.net/document/defenceless-impact-israeli-military-detention-palestinian-children/
https://www.amnesty.org/en/latest/news/2022/06/israel-opt-palestinian-prisoner-arrested-as-a-child-ahmad-manasra-still-in-prison- nonostante-il-peggioramento-della-salute-mentale/
https://www.instagram.com/ahmedeldin/reel/C1koGfWLeb5/
https://www.change.org/p/freeahmadmanasra?recruiter=39332177&recruited_by_id=2f0a6ec0-4888-0130-b5dc-3c764e049c4f&utm_source=share_petition&utm_campaign =share_petition&utm_term=share_petition&utm_medium=whatsapp&utm_content=washarecopy_32610692_en-US%3A0
7-https://www.amnesty.org/en/latest/news/2023/05/israel-opt-death-of-khader-adnan-highlights-israels-cruel-treatment-of-palestinian-pris https://edition.cnn.com/2024/05/10/middleeast/israel-sde-teiman-detention-whistleblowers-intl-cmd/index.html oners/#:~:text=In%20total%2C%20he%20spent%20eight,muori%20da%20solo%20nella%20sua%20cella.
8-https://www.aljazeera.com/news/2024/4/7/terminally-ill-palestinian-prisoner-walid-daqqa-dies-in-israeli-custody
9-https://www.ohchr.org/en/press-releases/2024/05/israel-un-expert-calls-probe-allegations-torture-and-mistreatment-against
https://www.un.org/unispal/document/auto-insert-187447/
https://www.bbc.com/news/world-middle-east-68514816
https://www.unrwa.org/resources/reports/detention-and-alleged-ill-treatment-detainees-gaza-during-israel-hamas-war
https://mezan.org/en/ post/42548/FACTSHEET:%C2%A0%C2%A0TORTURE-AND-CRUEL,-INHUMAN-AND-DEGRADING-TREATMENT


https://www.aljazeera.com/news/2024/4/17/the-thousands-of-palestinians-israel-arrests-tortures-hold-even-in-death
https://www.newarab.com/analysis/systematic-torture-gazans-israels-secret-prisons
10-https://edition.cnn.com/2024/05/10/middleeast/israel-sde-teiman-detention-whistleblowers-intl-cmd/index.html
11- D. Summerfield. La regolamentazione internazionale della complicità medica con la tortura è in gran parte un abbellimento? Il caso di Israele e le lezioni di un appello etico medico durato 12 anni. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34131004/
12-https://www.wma.net/policies-post/wma-declaration-of-tokyo-guidelines-for-physicians-concerning-torture-and-other-cruel-inhuman-or-degrading-treatment-or-punishment-in-relation-to-detention-and-imprisonment/
COMPLICITÀ MEDICA CON LA TORTURA E LA ASSOCIAZIONE MEDICA ISRAELIANA
Complicità medica nella tortura
La complicità medica nella tortura può comportare una partecipazione attiva o passiva.
Gli esempi di partecipazione attiva includono l’uso di conoscenze mediche per supportare le tecniche di interrogatorio, la supervisione dell’uso di sostanze chimiche per la tortura, la fornitura di rapporti medici falsi.
La partecipazione passiva, come la mancata denuncia delle torture, è spesso meno riconosciuta e punita.
Qualsiasi complicità medica nella tortura viola fondamentalmente l’etica medica e la legge sui diritti umani. I codici etici medici vietano agli operatori sanitari di assistere alla tortura.
In Cile, dopo la fine del regime di Pinochet, durante il quale centinaia di cittadini furono torturati, l’Associazione medica cilena indagò ed espulse numerosi medici coinvolti nella tortura.
In Sud Africa due medici sono stati puniti per non aver curato o denunciato le ferite mortali inflitte nei confronti dell’attivista antiapartheid Steve Biko.
Gli esempi di complicità medica nella tortura e di fallimento delle organizzazioni mediche nell’agire in merito non sono solo storici. Il rapporto del PHR “Aiding Torture” richiedeva un’indagine indipendente sul ruolo degli operatori sanitari (medici e psicologi) in casi noti di tortura nelle carceri dove sono detenuti sospetti terroristi.
Questo rapporto si avvaleva di un documento trapelato dalla Croce Rossa Internazionale, in cui si affermava che medici impiegati dalla CIA erano presenti a Guantánamo per monitorare i metodi di tortura, tra cui il water boarding e l’incatenamento. Il rapporto concludeva che “la presunta partecipazione del personale sanitario al processo di interrogatorio e, direttamente o indirettamente, all’inflizione di maltrattamenti costituisce una grave violazione dell’etica medica e, in alcuni casi, equivale a partecipare alla tortura e/o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti».
Nel Regno Unito, Medical Justice ha documentato il fallimento della “Regola 35”, la regola dei centri di detenzione che dovrebbe garantire che le persone vulnerabili, comprese le vittime di tortura, non siano detenute. Medical Justice denuncia anche l’inadeguata documentazione delle torture da parte degli operatori sanitari che lavorano nei centri di detenzione e la conseguente mancanza di cure adeguate.
Il recente rapporto di Medact “Preventing Torture” affronta il divario tra i codici etici e la pratica medica.
Fonte:
– https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3526851/#:~:text=Medical%20complicity%20in%20torture%20is%20active%20or%20passive%20participation%20by,and%20failure%20to%20report%20torture.
Come i medici carcerari israeliani assistono alla tortura dei detenuti palestinesi
“Non userò le mie conoscenze mediche per violare i diritti umani e le libertà civili, anche sotto minaccia.”
Questa è una linea del The Physician’s Pledge adottata dalla World Medical Association nel 1948, che
guida il lavoro dei medici di tutto il mondo.
Sfortunatamente, poiché la pratica della tortura persiste in tutto il mondo, troppo spesso gli operatori sanitari corrono il rischio di diventarne complici. Un paese che recentemente è finito sotto i riflettori per quanto riguarda la complicità medica nella tortura è stato Israele.
Sebbene trattata come un fenomeno recente o singolare dai mezzi di informazione occidentali, come nella recente denuncia della CNN sugli orrori praticati nel famigerato centro di detenzione di Sde Teiman, la tortura israeliana precede di molto il 7 ottobre. L’uso della tortura in Israele come strumento coloniale per soggiogare e esercitare il controllo sui palestinesi è intrecciato con la sua stessa nascita. Come scrisse nel 2010 dal carcere Walid Daqqa, icona rivoluzionaria e letteraria palestinese: “Ciò che accade nelle [carceri israeliane] non è solo detenzione e isolamento di un popolo considerato un rischio per la sicurezza di Israele, ma fa parte di uno schema generale, scientificamente pianificato e calcolato per rimodellare la coscienza palestinese”. La tortura israeliana è quindi istituzionalizzata e sistematica – portata avanti dal vasto regime di “sicurezza” di Israele e sanzionata dalle sue braccia legali e giudiziarie. A livello internazionale, l’uso della tortura da parte di Israele continua incontrollato nonostante sia firmataria della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.
Una storia di complicità medica
Le prove degli ultimi 30 anni dimostrano dunque che i medici israeliani non rispettano questi obblighi etici regolarmente e operano in violazione del diritto internazionale.
Come dettagliato nei rapporti di Human Rights Watch, Amnesty International, Physicians for Human Rights-Israel e molti, molti altri, il coinvolgimento medico israeliano nella tortura è sistematico – e di fatto parte integrante del regime di tortura israeliano.
La complicità medica nella tortura si manifesta in vari modi. Per anni, le organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato l’uso “diffuso e sistematico” della tortura da parte delle forze di sicurezza e delle autorità carcerarie israeliane.
Dal 2001, il Comitato pubblico contro la tortura in Israele (PCATI) ha presentato oltre 1.400 denunce di tortura contro le autorità israeliane.
Nel 2007,lo stesso PCATI ha pubblicato testimonianze in cui si affermava che tra una sessione di tortura e l’altra le vittime venivano visitate da medici che non documentavano né denunciavano la tortura.
Nel 2009, è stato inviato un appello a nome di più di 700 medici di 43 paesi chiedendo alla World Medical Association (WMA) di agire contro l’Associazione medica israeliana sulla base delle prove di complicità medica nella tortura raccolte da diverse rispettabili organizzazioni internazionali per i diritti umani, tra cui il PCATl.
La World Medical Association (WMA) non ha intrapreso alcuna azione e ha rifiutato persino di prendere atto della richiesta.
Nel 2011, Physicians for Human Rights Israel (PHRI) ha documentato il coinvolgimento implicito dei medici carcerari nei maltrattamenti restituendo le vittime ai perpetratori dopo cure superficiali, condividendo informazioni mediche con gli aguzzini e omettendo di documentare e denunciare torture e maltrattamenti.
Nonostante le richieste rivolte all’Associazione medica israeliana di indagare sui medici accusati, non è stato condotto alcun esame delle cartelle cliniche né sono state interpellate le vittime.
Nel 2016, l’organizzazione palestinese per i diritti umani, Addameer, ha pubblicato un rapporto in cui denunciava la politica israeliana di deliberata negligenza medica nei confronti dei palestinesi in detenzione.
Ha fornito in dettaglio vari casi di palestinesi a cui sono state negate le cure in carcere e di medici che non hanno descritto segni fisici di tortura e maltrattamento nelle cartelle cliniche.
Nello stesso anno, anche il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha espresso preoccupazione per il fatto che i medici carcerari non denunciassero lesioni indicative di abusi. Si raccomandava inoltre che i medici carcerari israeliani fossero posti sotto alla supervisione del Ministero della Sanità. Ciò tuttavia non è avvenuto.
Il personale medico che lavora nelle carceri israeliane non è tuttora sottoposto alla supervisione del ministero della sanità o di qualsiasi altro organismo medico e non fa parte dell’associazione medica nazionale. Dato che fanno capo all’autorità penitenziaria piuttosto che a un’autorità sanitaria, corrono il rischio di compromettere l’assistenza sanitaria dei loro pazienti per preservare la loro lealtà verso i propri superiori.
Come spiegato nello studio globale di Addameer del 2020, Cell 26, prima dell’inizio dell’interrogatorio di un detenuto, i medici israeliani collaborano con gli interrogatori dello Shin Bet per “certificare” o approvare che sia “idoneo” ad essere sottoposto alla tortura. Per tutta la durata dell’interrogatorio, un medico fornisce il “via libera” affinché la tortura possa continuare.
Ma l’autorizzazione alla tortura va oltre un superficiale “controllo sanitario”.
Nei loro esami, gli operatori sanitari cercano i punti deboli fisici e psicologici da sfruttare nell’individuo.
Queste debolezze vengono condivise attivamente con gli interrogatori per aiutarli a spezzare lo spirito del prigioniero.
I medici israeliani nascondono anche le ferite che osservano durante le torture.
Invece di adempiere alle proprie responsabilità etiche nel denunciare gli abusi, i medici falsificano o si astengono dal documentare gli effetti fisici e psicologici della tortura sul corpo e sulla mente dei detenuti, privando le vittime della possibilità di utilizzare potenziali prove contro i loro torturatori.
I detenuti palestinesi raccontano che gli interrogatori sono addestrati a metodi di abuso progettati per infliggere il massimo danno.
Questa conoscenza non è innata; piuttosto, secondo Cell 26, la ricerca medica è condivisa con gli interrogatori dell’occupazione israeliana per armarli con tecniche e programmi di tortura specifici intesi a causare sofferenze estreme ai detenuti palestinesi lasciando prove fisiche minime.
Quando i medici sono agenti del colonialismo
La partecipazione dei professionisti medici alla tortura – coloro il cui dovere sarebbe apparentemente quello di guarire, alleviare le sofferenze e agire nel migliore interesse dei loro pazienti – non è una contraddizione. Indipendentemente dall’etica o dalle leggi, il personale medico israeliano opera innanzitutto come agente del regime coloniale dei coloni israeliani. Sotto il colonialismo, tutti gli aspetti della società colonizzatorice hanno uno scopo: favorire l’oppressione delle persone colonizzate.
La professione medica non è diversa. Nel suo saggio “Medicina e colonialismo”, Frantz Fanon delinea cosa significa praticare la medicina in un contesto coloniale. Parlando dell’Algeria francese, scrive:
“Il medico stesso… ha deciso di escludersi dal cerchio protettivo che i principi e i valori della professione medica hanno intrecciato intorno a lui… In una data regione, il medico si rivela talvolta come il più sanguinario dei colonizzatori… così diventa il torturatore che sembra essere un medico.”
Fanon continua: “Sul piano strettamente tecnico, il medico europeo collabora attivamente con le forze coloniali nelle loro pratiche più spaventose e più degradanti”.
Accanimento successivo al 7 ottobre
Le organizzazioni per i diritti umani sia in Israele che nei territori palestinesi occupati hanno notato un aumento dei casi di tortura, maltrattamenti e morte in detenzione a partire dal 7 ottobre. Alcuni hanno indicato che questa è una politica deliberatamente perseguita delle autorità israeliane.
Dal 7 ottobre, le accuse di maltrattamenti e torture nei confronti dei palestinesi detenuti da Israele sono aumentate notevolmente. Secondo Haaretz, negli ultimi otto mesi almeno 48 palestinesi sono morti mentre sottoposti alla detenzione militare israeliana e 16 detentuti sono morti in prigione.
Dal 7 ottobre, il coinvolgimento dei medici israeliani nella tortura è stato confermato dalle indagini e dalle testimonianze dei sopravvissuti alla tortura, dalle organizzazioni per i diritti umani e persino da alcuni informatori israeliani.
Il 16 aprile, un rapporto spaventoso dell’Agenzia delle Nazioni Unite ha affermato che quando tentavano di ricevere assistenza medica per curare le ferite causate dalla tortura, i prigionieri palestinesi venivano invece picchiati maggiormente dai medici della prigione.
L’11 ottobre, il ministro della Sanità israeliano ha chiesto agli ospedali di rifiutare le cure ai palestinesi provenienti da Gaza. Da allora, i palestinesi nelle carceri israeliane hanno riferito che le visite mediche venivano cancellate e che le cure mediche venivano loro negate. Le norme internazionali prevedono una visita medica all’ingresso in carcere. Tuttavia, il PHRI ha scoperto che questo procedimento non è
stato sistematicamente implementato con gli arresti di massa nei confronti dei palestinesi successivi al 7 ottobre. Pertanto, le équipe mediche non identifica
no le persone con bisogni medici, né documentano maltrattamenti o torture avvenuti durante il processo di arresto.
A marzo, gruppi per i diritti dei palestinesi hanno presentato un appello urgente a 11 gruppi di lavoro speciali e ai relatori speciali delle Nazioni Unite, esortandoli ad agire contro la tortura e i maltrattamenti effettuati dall’esercito israeliano.
Tra le numerose prove dell’uso della tortura, sono stati riportati anche casi di medici e infermieri che “non hanno tenuto conto e hanno ignorato i bisogni dei prigionieri” e “hanno ordinato alle guardie carcerarie di attaccare e aggredire ulteriormente i prigionieri”.
Le autorità israeliane hanno allestito nuove strutture di detenzione militare nel deserto del Negev per gli arrestati provenienti da Gaza. Uno di questi si trova nella base militare di Sde Teiman.
Questo sito è stato soprannominato la “Guantanamo israeliana” con una copertura mediatica che descrive in dettaglio le condizioni orribili della stessa grazie alle testimonianze degli informatori anonimi e dei prigionieri rilasciati.
Ad aprile, un medico che lavorava a Sde Teiman ha inviato una lettera ai ministri israeliani della difesa e della sanità, nonché al procuratore generale, affermando che le operazioni della struttura “non rispettano una sola sezione tra quelle riguardanti la salute della legge sui centri di detenzione per i combattenti illegali”. Secondo questa persona, tutti i pazienti sono sempre ammanettati con tutti e quattro gli arti e bendati, anche durante le cure, e devono quindi indossare i pannolini.
La complicità medica nella tortura include anche la negligenza medica, una pratica deliberata e di lunga data nelle carceri israeliane.
Un rapporto di Physicians for Human Rights-Israel descrive in dettaglio le orribili condizioni del centro di detenzione di Sde Teiman. Secondo il rapporto, il personale medico sta fornendo cure a pazienti immobilizzati e bendati; esegue procedure mediche invasive “senza che i pazienti ricevano in anticipo spiegazioni sufficienti o diano il loro consenso”; si rifiuta di somministrare cure; si rifiuta di somministrare farmaci antidolorifici e li fornisce “esclusivamente nei casi in cui possano aiutare le forze di sicurezza a interrogare i pazienti”.
Inoltre, al personale medico non è richiesto di denunciare o documentare casi di violenza o tortura di cui è stato testimone, né di firmare documenti medici con il proprio nome o numero di licenza, proteggendo il personale medico da potenziali indagini riguardanti la violazione dell’etica medica.
Nell’indagine su Sde Teiman della CNN, altri tre informatori israeliani presso il centro di detenzione israeliano hanno rivelato come le procedure mediche nella struttura siano “a volte eseguite da medici sottoqualificati, tanto che si è guadagnato la reputazione di essere ‘un paradiso per gli stagisti’”. Come ha detto uno degli informatori. CNN:
“Mi è stato chiesto di imparare come agire sui pazienti, eseguendo procedure mediche minori che sono totalmente al di fuori della mia competenza… semplicemente essere lì faceva sentire complice di abusi.” La stessa persona ha anche assistito ad amputazioni eseguite su persone che avevano subito ferite causate dalla contenzione ininterrotta degli arti. Israele ha sospeso l’accesso alle carceri per il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) dal 7 ottobre e a Sde Teiman non sono state consentite visite da parte di avvocati o familiari se non in rarissimi casi. Pertanto, il controllo indipendente dei centri di detenzione è attualmente inesistente.
Ad aprile più di 600 operatori sanitari provenienti da tutto il mondo hanno chiesto la chiusura del centro di detenzione di Sde Teiman.
Si può accedere alla petizione scansionando il codice QR a destra.
Il personale medico che tratta questi pazienti senza opporsi alle condizioni in cui sono detenuti è a rischio di complicità medica nella tortura, e viola così non solo i diritti umani dei pazienti ma anche la propria etica professionale per cui la dignità umana va rispettata e bisognae sempre agire nel migliore interesse del paziente.
Fonte:
– https://mondoweiss.net/2024/05/how-israeli-prison-doctors-assist-in-the-torture-of-palestinian-detainees/ – https://www.aljazeera.com/opinions/2024/6/18/action-must-be-taken-on-alleged-complicity-of-israeli-doctors-in-torture- https://www.haaretz.com/israel-news/2024-06-03/ty-article/.premium/idf-conducts-criminal-investigation-into-48-deaths-of-gazans-in-the-war-mostly-detainees/0000018f-dd46-db0d-a98f-dd4f27950000
Il sistema sanitario palestinese preso di mira da Israele perché parte cruciale della resistenza contro il genocidio
Dichiarazione del Movimento per la salute popolare
Gli attacchi contro ospedali, ambulanze e personale sanitario sono una tattica chiave nella guerra genocida contro i palestinesi a Gaza. La distruzione totale del sistema sanitario è una parte intenzionale del progetto di pulizia etnica del regime di apartheid israeliano contro il popolo palestinese.
L’esercito israeliano ha inoltre aumentato gli attacchi alla sanità in Cisgiordania dal 7 ottobre 2023. Secondo l’OMS sono stati registrati 480 attacchi contro il sistema sanitario in Cisgiordania, soprattutto nei governatorati settentrionali di Tulkarem e Jenin.
Questa non è una novità. Gli operatori sanitari e le infrastrutture palestinesi sono presi di mira da Israele da decenni. Ad esempio, tra il 2019 e il 2021 ci sono stati 463 operatori sanitari palestinesi feriti dalla violenza dell’esercito israeliano (166 in Cisgiordania e 297 a Gaza).
Secondo il dottor Mohamed Salha, chirurgo ortopedico e direttore ad interim dell’ospedale Al Awda, prendere di mira sistematicamente e deliberatamente gli operatori sanitari ha un obiettivo chiaro: “Alla fine, il primo obiettivo dell’esercito israeliano è stato il sistema sanitario di Gaza. Vogliono rendere la Striscia di Gaza completamente invivibile, e lo fanno attaccando il sistema sanitario. Senza operatori e servizi sanitari le persone non rimarranno”.
Negli ultimi otto mesi gli operatori sanitari di Gaza sono stati vittime di intimidazioni, arresti e detenzioni arbitrari, torture e omicidi.
Secondo Medici senza Frontiere tra il 7 ottobre 2023 e il 31 maggio 2024 sono stati assassinati almeno 493 operatori sanitari.
[Secondo i dati del Ministero della Salute al 30/06/2024 risultano 885 martiri tra gli operatori sanitari]. Secondo una nuova indagine Reuters, durante la guerra sono stati uccisi 55 medici specialisti, pari al 4% degli specialisti in Gaza. L’impatto di queste perdite sul sistema sanitario sarà molto più profondo del loro effetto immediato sulla fornitura di servizi, poiché l’uccisione di uno specialista può paralizzare per anni i servizi ospedalieri di intere aree. Secondo gli specialisti del settore sanitario, ci vorranno decenni per ricostruire il sistema sanitario a Gaza.
Quasi 10.000 palestinesi sono attualmente detenuti nelle carceri israeliane, di cui circa 3.500 nella cosiddetta “detenzione amministrativa”, il che significa che sono imprigionati a tempo indeterminato senza accusa. Almeno 214 operatori sanitari sono stati detenuti dalle forze israeliane mentre erano in servizio dal 7 ottobre, con almeno 128 operatori sanitari rimasti in detenzione al 30 maggio 2024.
Uno di loro è il dottor Ahmed Muhanna, membro della Al Awda Health and Community Association (AWDA), e della rete PHM. Domenica 17 dicembre 2023, i soldati israeliani hanno fatto irruzione nell’ospedale Al Awda a Jabalia, nel nord di Gaza. Durante il raid hanno arrestato 21 operatori sanitari, tra cui il dottor Muhanna, direttore dell’ospedale, che è ancora detenuto nella famigerata prigione israeliana nel deserto di Naqab.
I parenti del dottor Muhanna hanno faticato a ricevere informazioni adeguate sul suo stato e sulle sue condizioni a partire dalla sua detenzione.
IL RAPIMENTO, LA TORTURA E L’UCCISIONE
DEI PROFESSIONISTI SANITARI
Il Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla salute, Tlaleng Mofokent, ha denunciato questi arresti e detenzioni arbitrarie dopo la scioccante morte del dottor Al Bursh, capo del dipartimento di ortopedia dell’ospedale Al Shifa, nella prigione israeliana di Ofer. “È stato detenuto mentre svolgeva il suo dovere nei confronti dei pazienti e si prendeva cura di loro secondo il giuramento prestato come medico”, ha affermato il Relatore speciale il 16 maggio 2024. “È morto per aver tentato di proteggere i diritti alla vita e alla salute dei pazienti”.
Il dottor Al Bursh è stato arrestato mentre eseguiva un intervento chirurgico all’ospedale Al Awda di Jabalia, durante lo stesso assedio israeliano che ha portato all’arresto e alla detenzione continua del dottor Ahmed Muhanna.
Il collasso totale del sistema sanitario a Gaza è imminente. Con Israele che nega deliberatamente l’accesso ai convogli di aiuti che trasportano medicinali e attrezzature mediche, compreso il carburante essenziale per mantenere operative le strutture sanitarie, la situazione a Gaza è diventata “un disastro travolgente”, secondo il dottor Rik Peeperkorn, rappresentante dell’OMS in Palestina.
Sappiamo che decine di migliaia di palestinesi a Gaza sono stati uccisi dalla violenza militare israeliana dal 7 ottobre 2023. Ma, per ora, non è chiaro quante persone siano morte a Gaza a causa del mancato accesso a un’assistenza sanitaria adeguata, a causa del blocco deliberato delle forniture mediche alla popolazione di Gaza e dell’insensibile rifiuto di Israele di consentire l’evacuazione medica di migliaia di palestinesi gravemente feriti e di altre migliaia che soffrono di malattie croniche come il cancro e il diabete.
Fonte:
– https://phmovement.org/palestinian-health-system-targetted-israel-crucial-part-resistance-against-genocide
MORTI CONOSCIUTE DI MEDICI PALESTINESI SOTTO TORTURA
Iyad Al-Rantisi
Il dottor Iyad Rantisi, 53 anni, era un consulente ostetrico e ginecologo e direttore del Complesso medico Kamal Adwan, a Beit Lahia, nel nord della Striscia di Gaza.
All’inizio dell’aggressione, il dottor Iyad si rifiutava di lasciare Gaza City, scegliendo di restare con i suoi pazienti.
Ma dopo un mese di intensi bombardamenti e assedi, dopo aver assistito alla presa di mira nei confronti degli ospedali, il Dr Al Rantisi ha deciso di spostarsi con la sua famiglia. Ancora in camice dopo aver terminato un intervento chirurgico, si è incamminaro a sud con la moglie, i loro figli Ahmed, 23 anni, Dina, 19, e Muhammad, 15, e sua sorella maggiore, Ibtisam.
Ha preso la strada indicata dalle forze israeliane, supponendo che gli avrebbe garantito un passaggio sicuro.
Ma né quello né la sua uniforme medica identificabile hanno fatto alcuna differenza.
“Infermiere, vieni”, ha detto un soldato quando lo ha visto, è quanto riferisce sua figlia Dina.
Quella è stata l’ultima volta che ha visto suo padre.
La morte del dottor Iyad è stata riportata per la prima volta da Haaretz il 18 giugno:
“È stato arrestato il 10 novembre ed è stato dichiarato morto sei giorni dopo nella prigione di Shikma, sede di una struttura per gli interrogatori dello Shin Bet”.
La notizia della sua morte è stata censurata dalle autorità israeliane per oltre sei mesi e ai giornali non è stato permesso di pubblicare nulla al riguardo.
“Il tribunale di magistratura di Ashkelon ha emesso un ordine di silenzio di sei mesi vietando la pubblicazione di tutti i dettagli del caso, inclusa l’esistenza dell’ordine di silenzio.
L’ordinanza del tribunale è scaduta a maggio”, ha riferito Haaretz.
Durante tutto questo periodo, la famiglia di Iyad presumeva che fosse vivo e sperava di rivederlo presto.
Il dottor Hossam Abu Safiya, direttore dell’ospedale Kamal Adwan, ha detto di essere “indescrivibilmente ferito” nel sentire della morte del suo collega dottor Iyad. Il dottor Iyad era un uomo sano prima del suo arresto e non soffriva di alcuna malattia, ha detto.
Ha aggiunto di essere venuto a sapere che il 53enne è stato “sottoposto a gravi percosse e torture”, che hanno provocato un’emorragia interna al suo stomaco, la quale è stata trascurata dalle autorità israeliane, e lo ha infine ucciso.
In un comunicato, lo Shin Bet ha confermato i dettagli sull’arresto di Rantisi e ha affermato che è morto nell’infermeria del centro di detenzione il 17 novembre 2023.
Secondo quanto riferito, la morte del dottor Rantisi ha dato luogo a un’indagine da parte del Ministero della Giustizia israeliano. Secondo Haaretz, “i suoi risultati sono in fase di revisione”.
Il dottor Husam Abu Safia, direttore dell’ospedale Kamal Adwan, ha detto ad Haaretz “che né lui né la famiglia di Rantisi hanno ricevuto alcuna informazione sulla sua sorte”.
La famiglia ha cercato instancabilmente di cercare informazioni su dove si trovasse il medico di Gaza.
“Abbiamo provato a contattare il Comitato internazionale della Croce Rossa per ottenere informazioni, ma non abbiamo ricevuto nulla e siamo rimasti in attesa”.
Attendono ancora che le autorità israeliane consegnino il corpo del medico ucciso, il quale si trova tuttora sotto sequestro.
I familiari chiedendo un’indagine immediata sulle circostanze della morte e invitano i gruppi per i diritti umani e le organizzazioni mediche, tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità e Medici Senza Frontiere, a intervenire urgentemente per processare Israele per i crimini che ha commesso.
Fonte:
– https://www.aa.com.tr/en/middle-east/gazan-family-seeks-answers-after-doctor-dies-in-israeli-custody/3256176
– https://www.palestinechronicle.com/prominent-palestinian-doctor-iyad-rantisi-killed-during-interrogation-in-israel/
– https://www.middleeasteye.net/news/war-gaza-family-mourns-doctor-tortured-death-israeli-forces
Adnan al-Bursh
Adnan Al-Bursh è nato nel 1974 a Jabalia, nella Striscia di Gaza occupata da Israele, e ha studiato lì prima di recarsi in Romania all’università di medicina. Successivamente è diventato chirurgo ortopedico e primario del reparto di ortopedia presso la più grande struttura medica della Striscia di Gaza, l’ospedale Al-Shifa.
Al-Bursh era sposato e aveva cinque figli. È stato anche consigliere della squadra nazionale di calcio palestinese. Durante l’invasione israeliana di Gaza, Al-Bursh ha lavorato senza sosta:
“Dal 10 ottobre 2023, ha trascorso ogni momento che ha avuto all’ospedale Al-Shifa. Non ha nemmeno visto sua moglie fino a probabilmente due settimane dopo”, ha detto suo nipote.
Il dottore si prendeva solo un’ora di svago al mattino per fare jogging e port sulla spiaggia.
Dopo la prima invasione dell’ospedale Al Shifa è stato costretto dall’esercito ad abbandonare l’ospedale. Poi ha raccontato alla sorella:
“Abbiamo lasciato l’ospedale, sorella. Giuro che siamo partiti con un nodo alla gola. L’esercito ci ha tracciato un corridoio tra i carri armati e abbiamo camminato in modo molto solenne. Ci ha ricordato ciò che ci è stato raccontato riguardo alla Nakba, alle esperienze vissute dai nostri nonni. Abbiamo camminato con i feriti, gli anziani. Li abbiamo informati che non avremmo lasciato l’ospedale Al Shifa senza i nostri pazienti. Come medici abbiamo la coscienza pulita perché abbiamo portato avanti la nostra missione fino all’ultimo momento”.
L’esercito israeliano ha esortato il personale dell’ospedale a spostarsi a sud, ma Al-Bursh si è rifiutato di obbedire e si è invece spostato a nord per lavorare all’ospedale indonesiano. Lì Al-Bursh è stato ferito da un missile israeliano mentre lavorava nella sala operatoria. Dopo una tregua, si è trasferito nuovamente all’ospedale Al-Awda, sempre nel nord di Gaza.
Il medico cinquantenne è stato arrestato dall’esercito israeliano il 17 dicembre 2023 insieme ad altri 10 lavoratori durante l’invasione dell’ospedale Al-Awda. Secondo fonti della sicurezza israeliane, Al-Bursh è stato arrestato per motivi di sicurezza nazionale; fonti dell’IDF hanno riferito che era sospettato di terrorismo. Quattro mesi dopo, il 19 aprile 2024, il servizio penitenziario israeliano ha confermato la morte di Al-Bursh mentre era in custodia presso la prigione di Ofer, senza rivelare la causa della sua morte. Le autorità palestinesi e i gruppi di difesa hanno attribuito la sua morte a tortura o maltrattamenti durante la custodia. I prigionieri rilasciati hanno detto alla famiglia di Al-Bursh che era stato sottoposto a torture e che era stato ripetutamente colpito alla testa dai soldati. Il suo corpo è tuttora tenuto sotto sequestro dalle autorità israeliane. Nel maggio 2024, la famiglia di Al-Bursh ha incaricato un avvocato dell’Aia per indagare sulla sua morte e contribuire a facilitare il ritorno del suo corpo.
Il 15 maggio, la moglie di Al-Bursh e Medici per i Diritti Umani – Israele hanno presentato una richiesta di indagine e autopsia alla Corte di Giustizia di Gerusalemme. Alcuni giorni dopo, Israele ha accettato di eseguire un’autopsia, alla presenza di un medico che rappresentava la famiglia.
L’ultimo post pubblicato dal dottor Al-Bursh su X era un disegno del dottor Ghassan Abu Sitta che indossava un camice tra lemacerie, con una nota in arabo che diceva:
“Moriremo in piedi e non ci inginocchieremo… Nella valle restano solo le sue pietre, e noi siamo le sue pietre” I colleghi lo hanno elogiato come un “individuo raro” e la “valvola di sicurezza” per i reparti ortopedici degli ospedali di Gaza. La giornalista Bisan Owda ha reso omaggio al medico come ex paziente: in un video parla delle sue eccezionali capacità come medico e della sua gentilezza. Racconta inoltre che nel 2010 il dottor Adnan fu il primo medico a eseguire con successo un’operazione al platino nella Striscia di Gaza. Gli studenti in protesta all’Università di Manchester hanno occupato Brunswick Park ribattezzandolo Dr Adnan Al-Bursh Park.
Fonti: – https://en.wikipedia.org/wiki/Adnan_al-Bursh – https://edition.cnn.com/2024/05/03/middleeast/gaza-surgeon-adnan-al-bursh-israeli-prison-intl-hnk/index.html – Instagram Healthcareworkerswatch. Instagram wizard_bisan1
Healthcare Workers Watch – Palestine
Healthcare Workers Watch – Palestine (Osservatorio Operatori Sanitari) è un’iniziativa degli operatori sanitari palestinesi per monitorare e mettere in luce gli attacchi contro le strutture sanitarie e gli operatori sanitari in tutta la Palestina.
Il nostro obiettivo è colmare il vuoto di rendicontazione e documentazione dovuto al collasso del sistema sanitario palestinese. Raccogliamo i nostri dati in modo indipendente attraverso il “social media listening”, principalmente dagli account sui social media – che verifichiamo – di parenti e colleghi delle vittime. Controlliamo anche i rapporti del Ministero della Salute palestinese, delle piattaforme di social media degli ospedali, dei siti web delle associazioni degli operatori sanitari e delle agenzie di media locali. Ci assicuriamo di ricevere aggiornamenti continui dalle famiglie degli operatori sanitari detenuti e di ascoltare gli stessi operatori sanitari una volta rilasciati. A questo punto, per la sicurezza delle persone rilasciate, condividiamo queste testimonianze alle organizzazioni interessate dopo l’anonimizzazione. Per dati o richieste più estesi, vi preghiamo di contattarci tramite e-mail.
Al 14 giugno 2024, abbiamo documentato 259 casi di detenzione illegale di operatori sanitari in Palestina da parte delle forze di occupazione israeliane dal 7 ottobre 2023.
• 251 maschi, 8 femmine
• 77 medici, 2 dentisti, 72 infermieri, 42 paramedici, 5 farmacisti, 1 optometrista, 18 tecnici, 20 amministrativi sanitari, 8 studenti di sanità, 3 volontari, 1 nutrizionista, 1 operatore sanitario comunitario e altri 9.
• 2 uccisi durante la detenzione, 138 sono attualmente in detenzione, 35 risultano dispersi e 35 rilasciati (2 di loro sono stati arrestati due volte e poi rilasciati).
• 237 detenuti illegalmente dalla Striscia di Gaza e 22 dalla Cisgiordania.
• Sono state raccolte 31 testimonianze video, audio o scritte di tortura.
Per il rapporto completo con l’elenco dei nomi degli operatori sanitari palestinesi rapiti scansiona il QR Code
Fonte:
– www.healthcareworkerswatch.org
I GUARITORI SEQUESTRATI DI GAZA
Khaled Al Serr
Khaled Al Serr, è un chirurgo dell’ospedale Nasser nella città di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza.
Al Serr aveva creato un gruppo WhatsApp di telemedicina in cui lui e suo cugino Osaid, un chirurgo residente negli Stati Uniti, reclutavano medici dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dall’Europa per dare consigli ai loro colleghi sotto pressione a Gaza.
Al Serr era un veicolo naturale per la conoscenza medica collettiva della chat del gruppo. “Ha sempre voluto dare una mano, gli è sempre piaciuto usare le mani, per risolvere i problemi e avere un impatto immediato”, riferisce Osaid.
Mentre le truppe di terra si facevano strada nel sud di Gaza verso la fine dell’anno, gli attacchi nei confronti degli ospedali nella città meridionale di Khan Younis aumentavano. A febbraio, quando l’esercito israeliano assediava l’ospedale Nasser, Al Serr era l’unico chirurgo generale presente che operava nella struttura.
L’attacco ha ridotto l’ospedale in un guscio di sé.
Per quanto riguarda Al Serr, poco dopo l’evacuazione di febbraio è andato a Rafah per visitare i suoi genitori, ma è tornato all’ospedale Nasser per aiutare a riaprirlo e per curarne i degenti.
Il suo ultimo post su Instagram è stato caricato a metà marzo, un breve video che mostrava l’esterno dell’ospedale:
Finalmente!! Dopo più di un mese di interruzione dell’elettricità nell’ospedale Nasser, il nostro personale è stato in grado di riparare il generatore e riportare l’elettricità. Nelle ultime due settimane stiamo cercando di pulire e preparare i reparti dell’ospedale per riaprirlo nuovamente.
Sei giorni dopo, il 24 marzo, le forze israeliane hanno fatto irruzione nell’ospedale. Suo cugino Osaid aveva chiesto qualche giorno prima se Al Serr stava bene. Nessuna risposta è mai arrivata. Era il loro ultimo scambio.
Da allora non si hanno quasi più notizie di Al Serr. Le uniche informazioni receite sono state più alDESAPARECIDOS
IN CAMICE
larmanti che rassicuranti. La prima notizia è che Al Serr è stato visto l’ultima volta connesso al suo WhatsApp a metà aprile. “È stato attivo online l’ultima volta il 12 aprile”, ha detto Osaid, “il che, a mio avviso, mi dice che gli hanno confiscato il telefono e che praticamente hanno avuto accesso anche al suo telefono.”
Poi, pochi giorni dopo, il 17 aprile, il quotidiano Al Mayadeen ha rilasciato un’intervista con un palestinese che si è identificato come Ahmed Abu Aqel e ha affermato di essere stato arrestato e rilasciato da Israele. Il Dottor Ahmed Moghrabi ha detto a The Intercept che Abu Aqel era in precedenza un infermiere all’ospedale Nasser.
Vestito con una felpa grigia e pantaloni da tuta, un abito comune per i detenuti palestinesi rilasciati, Abu Aqel ha detto di aver ricevuto un messaggio dai medici dell’ospedale Nasser che erano detenuti.
“Un mio collega era detenuto accanto a me”, ha detto Abu Aqel. “Il suo nome era Khaled. Davanti a me gli hanno strappato tutta la barba con le pinze. La sua barba è stata strappata.”
I parenti pensano si possa riferire a Khaled Al Serr.
“Era molto coraggioso. Stava facendo il suo lavoro. In pratica il nostro lavoro come chirurghi non è solo curare le ferite e farle rimarginare, ma anche difendere i nostri pazienti. Lui li stava difendendo”.
AMNESTY INTERNATIONAL Campagna per la Liberazione di Khaled Al Serr
Il 24 marzo 2024, il palestinese Khaled Al Serr è stato arrestato dall’esercito israeliano presso l’ospedale Nasser di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza. Da allora è detenuto in condizioni equivalenti a sparizione forzata. Più di due mesi dopo, le autorità israeliane continuano a nascondere il suo destino e il luogo in cui si trova; i frammenti di informazioni che la sua famiglia ha potuto ricevere provengono solo dai suoi colleghi e dai detenuti rilasciati. Le autorità israeliane devono rilasciare immediatamente il dottor Khaled Al Serr. Devono immediatamente rivelare dove si trovano e lo status legale di tutti gli operatori sanitari palestinesi di Gaza che sono stati fatti sparire con la forza e rilasciarli a meno che non siano accusati di un reato riconoscibile a livello internazionale e perseguiti in procedimenti che rispettino gli standard internazionali di giusto processo. In attesa del rilascio del dottor Khaled Al Serr, le autorità devono rivelare alla famiglia del dottor Khaled Al Serr il suo destino, il luogo in cui si trova e i motivi della detenzione e garantire il suo accesso a un avvocato, alle cure mediche e ai suoi familiari.
SI PREGA DI PRENDERE AZIONE IL PIÙ PRESTO POSSIBILE
FINO AL: 2 agosto 2024 QR Code per accedere alla Campagna di Amnesty
Fonti:
– https://theintercept.com/2024/05/24/gaza-palestinian-doctors-hospital-detained-
missing-disappeared/
– https://www.amnestyusa.org/urgent-actions/urgent-action-free-forcibly-disappeared-palestinian-surgeon-iopt-53-24/
Ahmed Muhanna
Il dottor Ahmed Muhanna, direttore dell’ospedale Al-Awda di Jabalya, era diventato un portavoce non ufficiale degli operatori sanitari in Palestina da quando Israele ha iniziato la sua ultima serie di attacchi il 7 ottobre.
Fin dall’inizio dell’attacco israeliano a Gaza, il dottor Muhanna ha mantenuto i contatti con le autorità e le organizzazioni regionali e internazionali condividendo rapporti sulla situazione per illustrare il terribile stato degli ospedali nella Striscia di Gaza.
Venerdì 13 ottobre, l’ospedale Al Awda ha ricevuto un messaggio dall’esercito israeliano affinché evacuasse l’ospedale entro 2 ore. Israele ha successivamente posticipato la scadenza alle 6 di sabato mattina (14 ottobre).
Il dottor Muhanna e il suo team hanno deciso di rimanere in ospedale e con i pazienti.
“Ho ricevuto una chiamata dall’esercito israeliano che ci chiedeva di evacuare l’ospedale”, ha detto il dottor Muhanna. In un’intervista ha affermato che “questo non è possibile. Alcuni pazienti sono stati evacuati, ma altri pazienti non possono essere trasferiti a causa delle loro gravi condizioni. Il personale ospedaliero è determinato a restare e a fornire assistenza sanitaria ai pazienti”.
Dal 5 dicembre l’ospedale Al Awda è stato circondato da cecchini e carri armati israeliani che circondavano l’edificio. Nessuno è riuscito a entrare o uscire dall’edificio, un’infermiera è stata uccisa con un colpo da un cecchino. Hanno sparato anche ad una donna incinta e alla suocera che volevano entrare in ospedale per partorire. La suocera è rimasta uccisa nell’attacco.
L’ospedale Al Awda di Jabalia è uno dei pochi ospedali nella Striscia di Gaza ad aver continuato a fornire cure ostetriche e ginecologiche (chirurgiche) dall’inizio della guerra.
Il dottor Muhanna e la sua squadra hanno resistito all’assedio israeliano per più di due mesi fornendo servizi sanitari essenziali ai pazienti.
Nel suo ultimo audio, un giorno prima del suo arresto avvenuto il Dr Muhanna ha detto che “nessuno può muoversi nell’ospedale a causa di un cecchino [israeliano]. La situazione in ospedale è terribile. Abbiamo 38 pazienti, alcuni dei quali privi di medicine. Non abbiamo ossigeno e solo pochissimo carburante per un piccolo generatore. Abbiamo cibo per 2 o 3 giorni al massimo. La situazione è critica.”
Domenica 17 dicembre 2023, i soldati israeliani hanno fatto irruzione nell’ospedale Al Awda. Durante il raid hanno arrestato 21 operatori sanitari, compreso il direttore dell’ospedale, dottor Ahmed Muhanna.
Dopo tre ore di interrogatorio in condizioni degradanti, molti sono stati rilasciati mentre il dottor Muhanna è stato posto sotto sequestro e il suo stato attuale rimane sconosciuto.
Campagne e petizioni per la sua liberazione sono state diffuse da “Al Awda Health and Community Association”, “We Move Europe”, “People’s Health Movement”, “ActionAid”, “Viva Salud”
Fonti:
– https://peoplesdispatch.org/2023/12/19/palestinian-and-international-networks-demand-israel-release-hospital-director-dr-ahmed-muhanna/
– https://www.vivasalud.be/en/viva-salud-calls-for-the-immediate-release-of-dr-ahmed-muhanna/
– https://phmovement.org/dr-ahmed-muhanna-palestine
STORIE DI DETENZIONE E TORTURA DA PARTE DEGLI OPERATORI SANITARI
Testimonianze di Tortura
Un accenno alle spaventose testimonianze di tortura documentate da Healthcare Workers Watch – Palestine da parte di operatori sanitari palestinesi rilasciati e detenuti dall’esercito israeliano.
“I soldati dell’esercito israeliano hanno preso la mia carta d’identità e poi mi hanno chiesto il mio nome e il mio lavoro, proprio quando ho detto loro che sono un infermiere, tutti mi hanno colpito in faccia con tutto ciò che avevano in mano, – ha continuato piangendo- mi hanno interrogato per 10 minuti poi mi hanno lasciato e si sono trasferiti sui miei colleghi, hanno scatenato i cani contro i miei colleghi, ho sentito le loro voci urlare mentre venivano colpiti. Poi ne presero un certo numero, lasciarono l’ospedale e ricominciarono a bombardare i dintorni fino alle 17”
Infermiere Mohammed Al-Kahlout, Capo Inferimiere, Ospedale Indonesiano, Nord di Gaza
“È stato così difficile! Umiliazione assoluta! in ogni senso della parola. Affrontare animali dannosi e predatori è più delicato di quello che abbiamo incontrato! Siamo stati detenuti in diversi luoghi per diversi giorni. Fummo trattenuti per lunghe notti nella zolla all’aria aperta, sopra la ghiaia, coperti dal freddo della valle. Le nostre mani sanguinavano a causa delle manette strette. Abbiamo perso la sensibilità a causa dell’intensa pressione sui nostri arti. Per due giorni ci hanno impedito di fare i bisogni e anche di bere un sorso d’acqua”.
Specialista unità di terapia intensiva, Ospedale Indonesiano, Nord di Gaza
“Mi ha tirato i capelli, mi ha coperto la faccia con la sabbia e me ne ha fatto mangiare. Poi mi ha chiesto: vuoi ammettere che sei Hamas o dovrei lasciare che i giovani ti mettano un manganello elettrico nel culo e ti taglino il cazzo? Gli ho detto: “Non sono Hamas e tu mi accusi di essere Hamas. Non sono Hamas”. Mi ha detto, ti farò confessare, porterò tua madre e la spoglierò davanti ai ragazzi”
Infermiere, Ospedale Beit Hanoun Hospital, Nord di Gaza
Fonte:
– https://healthcareworkerswatch.org
MOHAMMED ABU SALMIYA
Nato nel 1973 nel campo profughi di Al-Shati, a ovest di Gaza, il dottor Mohammad Abu Salmiya è un illustre pediatra palestinese acclamato per la sua dedizione alla medicina pediatrica e alla gestione sanitaria, in particolare nel difficile ambiente della Striscia di Gaza.
Il dottor Mohammed Abu Salmiya ha completato i suoi studi di medicina a Kiev, Ucraina .
Nel 2015 assume la direzione dell’Ospedale Pediatrico Al Rantisi .
Nel 2019 è diventato Direttore dell’Ospedale Al Shifa, la struttura medica più grande ed importante della Striscia di Gaza . Nel 2023 ha contribuito all’espansione del Pronto Soccorso dell’Ospedale Al Shifa migliorandone la capacità e le strutture, raddoppiando il numero di posti letto e di unità di terapia intensiva.
Mentre dirigeva l’Ospedale avviò anche cruciali progetti di ristrutturazione dell’edificio Maternità, migliorando i servizi sanitari materno-infantili.
Ha anche guidato lo sviluppo di un dipartimento di radiologia con il supporto internazionale .
Abu Saliya ha organizzato e partecipato a importanti conferenze pediatriche a livello locale e internazionale.
Ha poi dimostrato una dedizione e un coraggio eccezionali rifiutandosi di lasciare i suoi pazienti durante l’invasone dell’ospedale da parte dell’esercito israeliano. Abu Salmiya è stato arrestato il 23 novembre 2023, insieme a diversi membri del personale medico mentre viaggiava attraverso Salah Al-Din Street da Gaza City alle aree meridionali della Striscia dopo che l’esercito israeliano aveva attaccato l’ospedale Al-Shifa.
Il primo luglio, Israele ha rilasciato circa 54 palestinesi, compresi medici che erano stati detenuti mentre erano in servizio all’interno del complesso medico Al-Shifa e di altri ospedali di Gaza durante varie operazioni militari effettuate negli ultimi mesi.
Il capo dell’ospedale al-Shifa di Gaza, Mohammed Abu Salmiya, è stato rilasciato quel giorno dopo più di sette mesi di sequestro da parte di Israele.
Molte organizzazioni e colleghi si sono battuti in quei 7 mesi per la sua liberazione.
In una conferenza stampa tenutasi al Complesso Medico Nasser di Khan Yunis, nel sud di Gaza, poche ore dopo il suo rilascio, Abu Salmiya ha detto:
“Ciò che sta accadendo ai prigionieri ora non è mai accaduto nella storia del movimento dei prigionieri
dai tempi della Nakba nel 1948. Una sofferenza estrema. I prigionieri sono sottoposti quotidianamente a umiliazioni fisiche e psicologiche. Ci sono prigionieri che sono stati uccisi durante gli interrogatori. Ci sono altri membri del personale medico che sono stati uccisi. All’interno delle carceri non viene fornito alcun servizio medico ai pazienti. Al contrario, il personale medico aggredisce i prigionieri, in violazione di tutti gli accordi internazionali e umanitari. […] Anche quando un detenuto chiede una pasticca, anche se si tratta della terapia più semplice, gli viene negata. Non viene fornito alcun tipo di servizio medico. Tutti i prigionieri hanno perso almeno 25 chili del loro peso corporeo. Sono stati tutti violati. La malattia ha violato i loro corpi. Stanno tutti soffrendo! Un messaggio a tutti è che il caso dei prigionieri deve essere presente nella discussione, in tutte le trattative, finché tutte le prigioni non saranno vuote, a Dio piacendo”.
Ha anche riferito:
“Siamo stati sottoposti a gravi torture e il mio mignolo è stato rotto. Sono stato ripetutamente colpito alla testa, il che mi ha provocato molteplici emorragie.”
“C’era tortura quasi ogni giorno nelle carceri israeliane. Quando le celle dei prigionieri venivano perquisite, venivano picchiati duramente ogni giorno”.
“I prigionieri nelle carceri israeliane subiscono diversi tipi di tortura. L’esercito li tratta come se fossero oggetti inanimati e i medici israeliani li aggrediscono fisicamente”.
“Nessuna organizzazione internazionale ci ha visitato nelle carceri israeliane e ci è stato proibito di incontrare qualsiasi avvocato. Molti detenuti sono ancora lasciati indietro in pessime condizioni di salute e psicologiche”, ha continuato Abu Salmiya.
“Il servizio carcerario israeliano non ha mai presentato un’accusa chiara contro di me, nonostante abbia subito tre processi in tribunale”, ha aggiunto.
Abu Salmiya ha poi esprimesso la sua sorpresa per le dichiarazioni di ignoranza dei funzionari governativi israeliani riguardo al suo rilascio, Abu Salmiya ha sottolineato che il suo rilascio è avvenuto attraverso i canali ufficiali
In Israele, diversi ministri e politici di spicco hanno espresso indignazione per il rilascio del dottor Abu Salmiya.
L’ex ministro del gabinetto di guerra, Benny Gantz, ha affermato che un governo che ha liberato i sospettati accusati di aver dato rifugio ai responsabili dell’attacco guidato da Hamas contro Israele il 7 ottobre dovrebbe dimettersi.
Il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, ha chiesto le dimissioni del capo del servizio di sicurezza interna israeliano, lo Shin Bet.
Da parte sua, lo Shin Bet ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che il sovraffollamento nelle carceri israeliane sta costringendo il rilascio di detenuti come il dottor Abu Salmiya.
Fonte:
– https://www.middleeastmonitor.com/20240701-released-head-of-gazas-al-shifa-hospital-says-tried-3-times-by-israel-with-no-charges/
– https://www.facebook.com/reel/484116587435712
– https://www.facesofpalestine.org/profiles/mohammad-abu-salmiya
– https://www.youtube.com/watch?v=L4HMFIbEJSo
– https://www.bbc.com/news/articles/cz47w24dld0o
AHMED ABU SABHA
Ahmed Abu Sabha, un medico dell’ospedale Nasser, ha raccontato il suo sequestro da parte dell’esercito israeliano: è stato trattenuto per una settimana in cui, ha detto, gli sono stati aizzati contro cani con la museruola, mentre la sua mano è stata rotta da un soldato israeliano. Il suo racconto combacia molto con quello di altri due medici che hanno voluto restare anonimi per paura delle ritorsioni.
Hanno raccontato alla BBC di essere stati umiliati, picchiati, bagnati con acqua fredda e costretti a inginocchiarsi in posizioni scomode per ore. Hanno detto di essere stati detenuti per giorni prima di venire rilasciati.
La BBC ha fornito i dettagli delle loro accuse alle Forze di Difesa Israeliane (IDF). Non hanno risposto direttamente alle domande su questi resoconti, né
hanno negato specifiche accuse di maltrattamenti. Ma hanno negato che il personale medico abbia subito danni durante l’operazione.
L’IDF ha fatto irruzione nell’ospedale nella città di Khan Younis, nel sud di Gaza, uno dei pochi nella Striscia ancora funzionante, il 15 febbraio 2024.
Un filmato girato di nascosto in ospedale il 16 febbraio, il giorno in cui i medici sono stati arrestati, è stato condiviso con la BBC.
Mostra una fila di uomini in mutande davanti all’edificio del pronto soccorso dell’ospedale, inginocchiati con le mani dietro la testa. Davanti ad alcuni di loro giacciono camici medici.
“Chiunque provasse a muovere la testa o a fare qualsiasi movimento veniva colpito”, ha detto alla BBC il direttore generale dell’ospedale, il dottor Atef Al-Hout. “Li hanno lasciati per circa due ore in questa posizione vergognosa”.
Il personale medico ha detto che sono stati poi portati in un edificio ospedaliero, picchiati e poi trasportati in una struttura di detenzione, il tutto mentre erano spogliati.
Il dottor Abu Sabha, un medico 26enne appena qualificato, volontario all’ospedale Nasser, ha descritto alcuni elementi del suo trattamento durante la detenzione, come costringere i detenuti a stare in piedi per ore senza una pausa. Ha detto che altre punizioni inflitte ai detenuti includevano la costrizione a giacere a pancia in giù per periodi prolungati e il ritardo dei pasti.
Altri medici hanno detto alla BBC che l’edificio della maternità, chiamato Mubarak, era diventato il luogo in cui l’IDF interrogava e picchiava il personale. Il dottor Abu Sabha ha detto che inizialmente era stato scelto per stare con i pazienti dopo il raid, ma poi era stato portato a Mubarak, che secondo lui era diventato “più simile a un luogo di tortura”.
“Mi hanno messo su una sedia ed era come una forca”, ha detto. “Ho sentito il rumore delle corde, quindi ho pensato che sarei stato giustiziato.
“Dopodiché hanno rotto una bottiglia e [il vetro] mi ha tagliato la gamba e l’hanno lasciata sanguinare. Poi hanno iniziato a portare dentro un medico dopo l’altro e a metterli uno accanto all’altro. Sentivo i loro nomi e le loro voci”.
Tutti e tre i detenuti con cui ha parlato la BBC hanno affermato di essere stati stipati su veicoli militari e picchiati mentre venivano trasportati in un grande gruppo. I soldati li hanno picchiati con bastoni, manichette, calci di fucili e pugni, hanno detto.
“Eravamo nudi. Indossavamo solo i boxer. Ci hanno ammassati uno sopra l’altro. E ci hanno portato fuori da Gaza”, ha detto uno dei medici che ha voluto rimanere anonimo. “Per tutto il percorso siamo stati picchiati, insultati e umiliati. E ci hanno versato addosso l’acqua fredda”.
Il dottor Abu Sabha ha detto che durante il viaggio i soldati hanno fatto scendere i detenuti dal veicolo. “Ci hanno portato su un pezzo di terreno coperto di ghiaia, ci hanno costretto a inginocchiarci e a farci bendare gli occhi… C’era una fossa nel terreno e pensavamo che ci avrebbero giustiziati e seppelliti lì. Abbiamo iniziato tutti a pregare”.
È stato poi portato in un edificio dove lui e gli altri detenuti sono stati trattenuti, ha detto.
Gli altri due detenuti rilasciati hanno detto che ad un certo punto sono stati sottoposti a controlli medici ma che non hanno ricevuto farmaci. Uno ha detto un soldato lo ha colpito nel punto in cui era ferito uando ha richiesto delle cure.
Il dottor Abu Sabha ha detto alla BBC che i detenuti venivano regolarmente puniti.
“A un certo punto, la benda si è abbassata un po’ e le mie mani erano ammanettate da dietro e non potevo aggiustarla.
“Mi hanno portato fuori per punizione… sono rimasto in piedi con le mani alzate sopra la testa e il viso rivolto in basso per tre ore. Poi, un soldato mi ha chiesto di andare da lui. Quando l’ho fatto, ha continuato a colpirmi la mano finché non si è rotta”. Più tardi quel giorno, è stato portato in bagno, picchiato e gli hanno aizzato addosso cani con la museruola, ha detto. Il giorno dopo, un medico israeliano gli ha fatto un gesso e poi i soldati gli hanno disegnato sopra una stella di David.
Il dottor Abu Sabha ha detto alla BBC di non essere mai stato interrogato durante i suoi otto giorni di detenzione. I tre medici con cui la BBC ha parlato hanno affermato di essere stati trasportati bendati e poi rilasciati al valico di Kerem Shalom controllato
da Israele, che si trova vicino al punto più meridionale della Striscia dove Gaza, Israele ed Egitto si incontrano.
Fonte:
– https://www.bbc.com/news/world-middle-east-68513408
SAID ABDULRAHMAN MAAROUF
Un medico palestinese afferma che le forze israeliane a Gaza lo hanno arrestato quando hanno invaso l’ ospedale e lo hanno sottoposto ad abusi per 45 giorni di prigionia, inclusa la privazione del sonno e costanti incatenamenti e bendaggi.
Il dottor Said Abdulrahman Maarouf stava lavorando all’ospedale al-Ahli al-Arab di Gaza City quando questo è stato circondato dall’esercito israeliano a dicembre.
Ha riferito di aver avuto le mani ammanettate, le gambe incatenate e gli occhi bendati per la maggior parte delle sette settimane della sua prigionia.
Lo hanno obbligato a dormire su un terreno coperto di ciottoli, senza materasso, cuscino o coperta e con la musica a tutto volume.
“Nelle carceri israeliane le torture erano molto severe. Sono un medico. Il mio peso era di 87 chilogrammi. Ho perso, in 45 giorni, più di 25 chilogrammi. Ho perso l’equilibrio. Ho perso la concentrazione. Ho perso ogni sentimento”, ha detto.
“In qualunque modo si descrivano le sofferenze e gli insulti in carcere non si potrà mai conoscerne la realtà a meno che non si sia vissuta”, ha aggiunto.
Maarouf ha detto di non avere idea di dove sia stato detenuto poiché è stato bendato per tutta la sua detenzione, e non era sicuro se fosse stato trattenuto all’interno o all’esterno di Gaza. È stato lasciato al valico di Kerem Shalom ed è stato prelevato dalla Croce Rossa.
L’arresto di Maarouf è stato l’ultimo momento in cui ha avuto notizie della sua famiglia, e ancora non sa se siano sopravvissuti all’assalto alla città di Gaza.
Maarouf ha trattenuto le lacrime mentre descriveva la sua ultima conversazione telefonica con sua figlia mentre i soldati israeliani invitavano con gli altoparlanti tutti i medici e il personale medico a lasciare l’edificio dell’ospedale.
“Se vuoi andartene, vattene.
Se vuoi restare, resta. Sono nella tua stessa trincea e ora vado dai soldati israeliani senza conoscere il mio destino”, ricordava di aver detto alla figlia.
“Da quel momento fino ad oggi non ho più informazioni sui miei figli né su mia moglie”, ha detto piangendo.
La devastazione a Gaza ha disperso le famiglie e interrotto le comunicazioni, rendendo difficile per le persone raggiungere fisicamente molte aree e impedendo loro di contattarsi telefonicamente, con la maggior parte delle reti di telecomunicazioni inattive.
Maarouf ritiene che fosse detenuto nello stesso luogo con circa 100 prigionieri.
“Ciascuno di noi desiderava la morte… desiderava morire per la gravità della sofferenza”, ha detto.
Ha detto che sentirsi dire di provare a dormire sdraiato sui ciottoli è stata la parte peggiore della sua esperienza.
“Sono un pediatra che lavora da 23 anni in questo campo. Non ho commesso alcun crimine umanitario. La mia arma è la mia penna, il mio taccuino e il mio stetoscopio. Non ho lasciato il posto. Curavo i bambini all’interno degli ospedali”, ha detto.
“Quando siamo stati chiamati dove si trovavano i carri armati, ho pensato che saremmo rimasti lì qualche ora e poi saremmo partiti. Pensavo che se avessero preso me e i miei colleghi ci avrebbero trattato bene perché siamo medici e non abbiamo commesso alcun crimine”, ha detto.
Tornato a Gaza, lavora di nuovo in un reparto pediatrico, con uno stetoscopio al collo, il suono dei bambini che piangono e i sussurri preoccupati dei genitori intorno a lui, ancora una volta.
Fonte:
–https://www.reuters.com/world/middle-east/gaza-doctor-describes-ordeal-detention-2024-02-04/
HAYTHAM AHMED
La tortura ti fa sentire così piccolo, così impotente. È molto importante restituire dignità.
50 giorni di prigionia durante il genocidio di Gaza
L’occupazione mi ha arrestato mentre evacuavo dall’ospedale Naser. Sono stato portato in una struttura di detenzione israeliana, bendato e ammanettato per tutti i 50 giorni, costretto a inginocchiarmi a terra per ore di seguito, senza sapere dove fossi o quando sarei stato rilasciato.
Durante la mia prigionia sono stato esposto a molte azioni crudeli: i soldati trattenevano il cibo come punizione, non abbiamo ricevuto alcuna assistenza medica ed era impossibile contattare la propria famiglia. Il mio telefono, i miei documenti ufficiali e tutto ciò che possedevo era stato confiscato.
Gli interrogatori insistevano sempre nell’accusarci di appartenere alla resistenza. Quando lo negavamo, i soldati ci prendevano a calci e ci colpivano duramente. Sembrava infinito, grazie a Dio finalmente sono libero e circondato dai miei cari
“Grazie a tutti per essere stati lì per me durante tutto questo, il vostro sostegno e le vostre parole gentili hanno significato moltissimo per me. Le vostre preghiere hanno toccato profondamente il mio cuore”.
Fonte:
– https://www.instagram.com/p/C5eYJ5eNu5C/
@haytham_ahmed96
MOHAMMED AL-RON
Questa foto straziante è quella del dottor Mohammed Ron. A destra, una foto scattata pochi giorni prima della guerra. A sinistra, una sua foto dopo essere stato rapito per quasi un mese dall’esercito israeliano.
Il dottor Mohammed era il primario del reparto di chirurgia dell’ospedale Al-Shifa, è un caro vicino e amico di famiglia che ha perso tanti membri della sua famiglia all’inizio della guerra.
È uno dei pochi chirurghi a Gaza e la sua esperienza, modestia e gentilezza lo hanno reso un uomo molto speciale e molto rispettato nella comunità. Il dottor Mohammed si è dedicato molto alla sua comunità; ha la cittadinanza russa ma si è rifiutato di evacuare e ha insistito nel servire la sua gente, fin dal primo giorno di guerra è rimasto in ospedale a fare il suo lavoro e a salvare la vita di migliaia di persone.
Questo eroe ha salvato la vita di mio cognato quando gli hanno sparato all’addome, gli ha fatto un intervento chirurgico importante senza anestesia e con risorse molto limitate.
Non molti giorni dopo è stato rapito all’ospedale Al-Ahli nel nord di Gaza. Oggi è stato rilasciato, ma l’umiliazione e la tortura che ha vissuto vanno oltre ogni immaginazione. Se ci fosse giustizia ed etica in questo mondo questo non dovrebbe mai accadere ad un chirurgo che fa il suo lavoro.
– inviato da un amico a Gaza
Fonte:
– https://www.facebook.com/photo.php?fbid=937771887708439&id=100044269097698&set=a.291055705713397
@ahmedeldin
IYAD ZAQOUT
Le forze israeliane hanno rilasciato il dottor Iyad Zaqout, un chirurgo generale dell’ospedale Kamal Adwan nella Striscia di Gaza, dopo averlo detenuto per la seconda volta durante gli attacchi sferrati dall’esercito israeliano sulla Striscia di Gaza a partire da ottobre.
“Sono stato sottoposto a una serie di insulti: sdraiato a terra nudo, poi incatenato. Le forze israeliane ci hanno scattato delle foto umilianti dopo averci sottoposto ad insulti, alcuni dei quali erano blasfemi. Ci hanno anche spruzzato addosso dell’acqua.
Abbiamo chiesto ad alcuni soldati di allentare le catene, ma loro le hanno rese ancora più strette.
Siamo stati detenuti per più di 48 ore e abbiamo dimenticato il freddo che faceva fuori, A causa del dolore alle mani, abbiamo dimenticato i pizzichi del freddo.
C’erano alcuni di noi che desideravano morire.
Sembra che l’esercito israeliano sia giunto ad un tale livello di intrattenimento e condiscendenza nei confronti delle ferite delle persone”.
Dopo il suo rilascio, il dottor Zaqout è tornato al Kamal Adwan per continuare il suo lavoro.
Fonte:
– https://www.facebook.com/ajplusenglish/videos/palestinian-surgeon-detained-twice-by-israeli-forces-is-released/905970880752432/
@ajplus
ISAAM ABU AVE
Un medico di Gaza liberato dalla prigionia, riprende il suo lavoro dopo 200 giorni di sequestro.
“La situazione era piuttosto difficile. C’erano molte malattie tra i giovani (nella detenzione israeliana). Soffrivano la fame. Ma il nostro morale è rimasto alto. Indipendentemente dai metodi che hanno usato contro di noi. Le condizioni dei prigionieri all’interno delle carceri sono deplorevoli. Ho letto la letteratura carceraria: sono un buon lettore. Tuttavia nessun libro menzionava i metodi di tortura che gli occupanti hanno impiegarono contro di noi.
Anche se ve lo dicessi.. io stesso non crederei mai a quello che ci hanno fatto.
È molto strano.. Immagina: mi hanno rotto i denti. Immagina: hanno preso lo scopino del WC e hanno strofinato la suasporcizia sui miei denti. È questo un metodo ragionevole di interrogatorio? Come medico non ho alcun legame con alcuna organizzazione o gruppo di resistenza. Sono un chirurgo. La mia accusa è di possedere un bisturi e delle forbici.
Il mio peso era di 116 chilogrammi, ho perso 37 chilogrammi.
Quando sono entrato per la prima volta in ospedale, i miei colleghi non mi hanno riconosciuto perché avevo perso tanto peso a partire dai mei 116 chilogrammi. A causa di tutte queste rughe ed emaciamento nel mio corpo, la maggior parte dei colleghi non mi riconosceva”.
Fonte:
– https://www.instagram.com/p/C9N0q-Yuixd/
@anadoluagency
29 luglio 2024
Nota finale
Oggi si è saputo che, in quello che speriamo non sia un tentativo di ripulirsi la faccia, nove militari Israeliani sono stati imputati per aver partecipato allo strupro di un prigioniero palestinese.

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intervista a Dr Mark Perlmutter ortopedico volontario a Gaza

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Birth under bombs: 9 months of hell

9 months on from the escalation of violence in Gaza, women there are now 3 times more likely to miscarry and 3 times more likely to die in childbirth.

Imagine being pregnant and knowing you are three times more likely to miscarry.
Imagine being pregnant and knowing you are three times more likely to die in childbirth.
Imagine being pregnant and experiencing the fear of death every single day.
Imagine being pregnant and feeling like the world has completely forgotten you.

This is the hell pregnant women in Gaza are living through every day.

In the 9 months, or 40 weeks, that the violence in Gaza has now raged on, women there have conceived, miscarried, and birthed their babies. Instead of spending 9 months safely and hopefully preparing for the birth of their baby, these women have spent the entirety of their pregnancy in constant fear.

22-year-old Diana discovered she was pregnant shortly after violence escalated last October and gave birth to her son, Yaman, under intense bombing and gunfire late last week.

“I had a difficult labour. I was so frightened as the bombing was intense and didn’t stop even for a minute. My mother was so afraid for me and the baby – she prayed and prayed that we’d still be alive by dawn.

“I gave birth to my son, Yaman at about 2am. There was no special care for the baby when he was born, and he was not fully examined. He has jaundice now which has affected his brain.”

Diana is not alone. Over 50,000 women are currently pregnant in Gaza. Around 180 are due to give birth today, but not all of them will make it that far. Pregnant women in Gaza have experienced so much trauma since October that they are three times more likely to miscarry than they were before.

For those who defy the odds and manage to carry their pregnancy to full-term, the likelihood is they will be forced to give birth in a tent, a temporary shelter, or even in the streets amid rubble. They will do this without painkillers, while bombs continue to drop around them, knowing that they are now three times more likely to die giving birth.

Expressing concern on forgetting women and their experiences in this conflict, Hiba Al Hejazi, CARE’s Regional Advocacy Advisor for the MENA Region said: “It’s abhorrent that women, and their experiences in this conflict, have largely been forgotten.

The international community has to step up and put them front and centre. We need a gendered response to this conflict, one that prioritises the needs and experiences of women, and funds the women leading their communities through crisis. We urgently need governments to use their diplomatic powers and bring an end to a conflict that is destroying lives, many that have only just begun.”

CARE International’s Palestinian partner in Gaza, Juzoor, has set up clinics offering ante- and post-natal care, and mobilised volunteers from its network of midwives to assist vulnerable women to deliver births safely in their shelters with specialised equipment. CARE has also distributed 5,500 Baby Kits, containing essential products such as baby clothes and sterilising wipes for pregnant mothers, many of whom have lost everything.

For media inquiries, please contact globalmedia@careinternational.org.

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Gaza nine months on, pregnant women carry the burden of conflict

Jerusalem, 9 July 2024: Nine months on since the start of the Israeli aggression in Gaza, maternal healthcare is almost decimated. Pregnant, postpartum, and breastfeeding women in Gaza are facing serious health consequences. Miscarriages have risen at least 300% since October last year. One of our own health workers from the Palestinian Family Planning and Protection Association (PFPPA) recently lost her pregnancy due to the stress of the attacks.

“I am a healthcare worker with PFPPA, and I have been forced to flee not once, not twice, but six times since the start of the violence, with my husband and three small children. Our home was destroyed by bombing. Whilst I was fleeing from one location to another, I started to unexpectedly bleed. I was able to find a doctor only after reaching Rafah, who confirmed I was miscarrying. I didn’t even realise I was pregnant,” Wafa, our healthcare worker in Gaza, told us.

With the starvation being faced by the people in Gaza in addition to the lack of drinking water, our service providers are reporting on daily basis of pregnant women suffering from anaemia, malnutrition and in desperate need of prenatal vitamins and supplements.

Our service providers in Gaza are also witnessing many women who are either having premature deliveries or miscarriages. Women of newborns are unable to breastfeed their babies due their own malnutrition and anxiety, while at the same time most families cannot afford milk formula as prices are becoming extremely high – and that is if they can find it in the market. When medical facilities are available, many women are unwilling to leave their shelters to obtain pre- and post-natal care, as they worry if they are separated from their families there will be military attacks and bombings and fear for their and their loved one’s fate if they do so.

Ammal Awadallah, Executive Director of PFPPA, said:

“Nine months on, and a woman who conceived at the start of these hostilities will now be giving birth. But where, how, and what life is that baby entering? This will be a lost generation in Gaza, a generation born into genocide. We’re doing the best we can to offer support to women in Gaza, but the conditions to get aid into Gaza, let alone warehouse supplies, make our jobs extremely difficult. PFPPA has always been committed to women’s health and that doesn’t stop, now or ever.”

Over 37,900 people have now lost their lives in Gaza. Women and girls that survive are facing a myriad of challenges; deprived of sexual and reproductive health services, sanitary and hygiene products. We believe every single person and organisation needs to mobilise to end this, by calling on their governments to demand unhindered humanitarian aid access, to demand a permanent ceasefire, and divest from any organisations aiding and abetting Israel’s military campaign against Palestine.

We are working in close collaboration with colleagues in Palestine on how best to serve those caught up in the violence, to ensure health workers are safe and able to provide sexual and reproductive health care without threat to life.

For more information and to speak to our Executive Director in Palestine, please email media@ippf.org

About the Palestinian Family Planning and Protection Association

Established in Jerusalem in 1964, the Palestinian Family Planning and Protection Association (PFPPA) is locally registered as an independent, non-profit and non-governmental association with headquarters in Jerusalem. PFPPA has service delivery points located in the West Bank Areas of Ramallah, Bethlehem, Hebron and Halhoul, in addition to one in the Gaza Strip, which has yet to be relocated after it was destroyed following an Israeli airstrike on 8 October. Furthermore, and in cooperation with local partners, PFPPA is also responsible for three safe spaces to provide Gender Based Violence (GBV) related services in the Jerusalem area.

About the International Planned Parenthood Federation

IPPF is a global healthcare provider and a leading advocate of sexual and reproductive health and rights (SRHR) for all. Led by a courageous and determined group of women, IPPF was founded in 1952 at the Third International Planned Parenthood Conference. Today, we are a movement of 150 Member Associations and Collaborative Partners with a presence in over 146 countries.

Our work is wide-ranging, including comprehensive sex education, provision of contraceptive, safe abortion, and maternal care and responding to humanitarian crises. We pride ourselves on being local through our members and global through our network. At the heart of our mission is the provision of – and advocacy in support of – integrated healthcare to anyone who needs it regardless of race, gender, sex, income, and crucially no matter how remote

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LIVE UPDATES: Israeli weapons with shrapnel designed to maximise casualties, doctors say

 https://www.commondreams.org/news/gaza-children-2668731254

Surgeons volunteering in Gaza have reported catastrophic injuries among children caused by Israeli-made weapons designed to maximise shrapnel dispersion, resulting in severe casualties, according to The Guardian on Thursday.

July 2, 2024 at 8:40 am

A Palestinian child receives medical treatment at Al Ahli Baptist Hospital after getting severely injured in an Israeli attack over Rimal neighborhood in Gaza City, Gaza on July 07, 2024. [Dawoud Abo Alkas – Anadolu Agency]

Surgeons who worked in European and al-Aqsa hospitals describe extensive wounds caused by ‘fragmentation’ shrapnel experts say is designed to maximize casualties

Israeli-made weapons designed to spray high levels of shrapnel are causing horrific injuries to civilians in Gaza and disproportionately harming children, foreign surgeons who worked in the territory in recent months have told the Guardian.

The doctors say many of the deaths, amputations and life changing wounds to children they have treated came from the firing of missiles and shells – in areas crowded with civilians – packed with additional metal designed to fragment into tiny pieces of shrapnel.

Volunteer doctors at two Gaza hospitals said that a majority of their operations were on children hit by small pieces of shrapnel that leave barely discernible entry wounds but create extensive destruction inside the body. Amnesty International has said that the weapons appear designed to maximise casualties.

Feroze Sidhwa, a trauma surgeon from California, worked at the European hospital in southern Gaza in April.

“About half of the injuries I took care of were in young kids. We saw a lot of so-called splinter injuries that were very, very small to the point that you easily missed them while examining a patient. Much, much smaller than anything I’ve seen before but they caused tremendous damage on the inside,” he said.

Weapons experts said the shrapnel and wounds are consistent with Israeli-made weapons designed to create large numbers of casualties unlike more conventional weapons used to destroy buildings. The experts question why they are being fired into areas packed with civilians.

an x-ray showing damage from fragmentation shrapnel
X-ray of the damage done to a 15-year-old’s leg by fragmentation shrapnel, some of which is still lodged in the bone. The surgeon said: “The shrapnel entered from the left into the tibia bone and exited through the fibula to the right of the image. Our word for very smashed bone is ‘comminuted’. Bone comminution does not get greater than this.” The surgeon has put in a stainless steel plate screwed into the tibia. Photograph: The Guardian

The Guardian spoke to six foreign doctors who have worked at two hospitals in Gaza, the European and al-Aqsa, in the last three months. All of them described encountering extensive wounds caused by “fragmentation” weapons, which they said have contributed to alarming rates of amputations since the war began. They said the injuries were seen in adults and children but that the damage done was likely to be more severe to younger bodies.

“Children are more vulnerable to any penetrating injury because they have smaller bodies. Their vital parts are smaller and easier to disrupt. When children have lacerated blood vessels, their blood vessels are already so small it’s very hard to put them back together. The artery that feeds the leg, the femoral artery, is only the thickness of a noodle in a small child. It’s very, very small. So repairing it and keeping the kid’s limb attached to them is very difficult,” Sidhwa said.

Mark Perlmutter, an orthopaedic surgeon from North Carolina, worked at the same hospital as Sidhwa.

“By far the most common wounds are one or two millimetre entry and exit wounds,” he said.

“X-rays showed demolished bones with a pinhole wound on one side, a pinhole on the other, and a bone that looks like a tractor trailer drove over it. The children we operated on, most of them had these small entrance and exit points.”

Perlmutter said children hit by multiple pieces of tiny shards often died and many of those who survived lost limbs.

“Most of the kids that survived had neurologic injuries and vascular injuries, a major cause of amputation. The blood vessels or the nerves get hit, and they come in a day later and the leg is dead or the arm is dead,” he said.

Sanjay Adusumilli⁩, an Australian surgeon who worked at the al-Aqsa hospital in central Gaza in April, recovered shrapnel made up of small metal cubes about three millimetres wide while operating on a young boy. He described wounds from fragmentation weapons distinguished by the shards of shrapnel destroying bone and organs while leaving just a scratch on the skin.

Explosives experts who reviewed pictures of the shrapnel and the doctors’ descriptions of the wounds said they were consistent with bombs and shells fitted with a “fragmentation sleeve” around the explosive warhead in order to maximise casualties. Their use has also been documented in past Israeli offensives in Gaza.

Trevor Ball, a former US army explosive ordnance disposal technician, said the explosive sprays out tungsten cubes and ball bearings that are far more lethal than the blast itself.

“These balls and cubes are the main fragmentation effect from these munitions, with the munition casing providing a much smaller portion of the fragmentation effect. Most traditional artillery rounds and bombs rely on the munition casing itself rather than added fragmentation liners,” he said.

Cubes removed from a child by Sanjay Adusumilli, an Australian surgeon working at the al-Aqsa hospital in central Gaza.
Cubes removed from a child by Sanjay Adusumilli, an Australian surgeon working at the al-Aqsa hospital in central Gaza. Photograph: Obtained by The Guardian

Ball said the metal cubes recovered by Adusumilli are typically found in Israeli-made weapons such as certain types of Spike missiles fired from drones. He said the doctors’ accounts of tiny entry wounds are also consistent with glide bombs and tank rounds fitted with fragmentation sleeves such as the M329 APAM shell, which is designed to penetrate buildings, and the M339 round which its manufacturer, Elbit Systems of Haifa, describes as “highly lethal against dismounted infantry”.

Some of the weapons are designed to penetrate buildings and kill everyone within the walls. But when they are dropped onto streets or among tents, there is no such containment.

“The issue comes with how these small munitions are being employed,” said Ball. “Even a relatively small munition employed in a crowded space, especially a space with little to no protection against fragmentation, such as a refugee camp with tents, can lead to significant deaths and injuries.”

Amnesty International first identified ammunition packed with the metal cubes used in Spike missiles in Gaza in 2009.

“They appear designed to cause maximum injury and, in some respects, seem to be a more sophisticated version of the ball-bearings or nails and bolts which armed groups often pack into crude rockets and suicide bombs,” Amnesty said in a report at the time.

Ball said that weapons fitted with fragmentation sleeves are “relatively small munitions” compared with the bombs that have a wide blast area and have damaged or destroyed more than half the buildings in Gaza. But because they are packed with additional metal, they are very deadly in the immediate vicinity. The shrapnel from a Spike missile typically kills and severely wounds over a 20-metre (65-ft) radius.

Another weapons expert, who declined to be named because he sometimes works for the US government, questioned the use of such weapons in areas of Gaza crowded with civilians.

“The claim is that these weapons are more precise and limit casualties to a smaller area. But when they are fired into areas with high concentrations of civilians living in the open with nowhere to shelter, the military knows that most of the casualties will be those civilians,” he said.

In response to questions about the use of fragmentation weapons in areas with concentrations of civilians, the Israel Defense Forces said that military commanders are required “to consider the various means of warfare that are equally capable of achieving a defined military objective, and to choose the means that is expected to cause the least incidental damage under the circumstances.

“The IDF makes various efforts to reduce harm to civilians to the extent feasible in the operational circumstances ruling at the time of the strike,” it said.

“The IDF reviews targets before strikes and chooses the proper munition in accordance with operational and humanitarian considerations, taking into account an assessment of the relevant structural and geographical features of the target, the target’s environment, possible effects on nearby civilians, critical infrastructure in the vicinity, and more.”

The UN children’s agency, Unicef has said that “staggering” numbers of children have been wounded in Israel’s assault on Gaza. The United Nations estimates that Israel has killed more than 38,000 people in Gaza in the present war of which at least 8,000 are confirmed to be children, although the actual figure is likely to be much higher. Tens of thousands have been wounded.

In June, the UN added Israel to a list of states committing violations against children during conflict, describing the scale of killing in Gaza as “an unprecedented scale and intensity of grave violations against children”, principally by Israeli forces.

Many of the cases recalled by the surgeons involved children severely injured when missiles landed in or near areas where hundreds of thousands of Palestinians are living in tents after being driven from their homes by the Israeli assault.

an x-ray shows shrapnel lodged in a body
An X-ray of a man with tiny pieces of shrapnel (the white specks) in his body. Photograph: The Guardian

Perlmutter described repeatedly encountering similar wounds.

“Most of our patients were under 16,” he said. “The exit wound is only a couple millimetres big. The entrance wound is that big or smaller. But you can see it is extremely high velocity because of the damage it does on the inside. When you have multiple small fragments travelling at insane speeds, it does soft tissue damage that far outweighs the size of the fragment.”

Adusumilli⁩ described treating a six-year-old boy who arrived at the hospital after an Israeli missile strike close to the tent where his family was living after fleeing their home under Israeli bombardment. The surgeon said the child had pinhole wounds that gave no indication of the scale of the damage beneath the skin.

“I had to open his abdomen and chest. He had lacerations to his lung, to his heart, and holes throughout his intestine. We had to repair everything. He was lucky that there was a bed in the intensive care unit. But, despite that, that young boy died two days later,” he said.

An American emergency room doctor now working in central Gaza, who did not want to be named for fear of jeopardising his work there, said that medics continue to treat deeply penetrating wounds created by fragmentation shards. The doctor said he had just worked on a child who suffered wounds to his heart and major blood vessels, and a build up of blood between his ribs and lungs that made it difficult to breathe.

Sidhwa said that “about half of the patients that we took care of were children”. He kept notes on several, including a nine year-old girl, Jouri, who was severely injured by shards of shrapnel in an air strike on Rafah.

“We found Jouri dying of sepsis in a corner. We took her to the operating room and found that both of her buttocks had been completely flayed open. The lowest bone in her pelvis was actually exposed to the skin. These wounds were covered in maggots. Her left leg she was missing a big chunk of the the muscles on the front and back of the leg, and then about two inches of her femur. The bone in the leg was just gone,” he said.

Sidhwa said doctors were able to save Jouri’s life and treat septic shock. But in order to save what remained of her leg, the surgeons shortened it during repeated operations.

The problem, said Sidhwa, is that Jouri will need constant care for years to come and she’s unlikely to find it in Gaza.

“She needs advanced surgical intervention every one to two years years as she grows to bring her left femur back to the length it needs to be to match her right leg, otherwise walking will be impossible,” he said.

“If she does not get out of Gaza, if she survives at all, she will be permanently and completely crippled.”

Adusumilli⁩ said fragmentation weapons resulted in high numbers of amputations among children who survived.

“It was unbelievable the number of amputations we had to do, especially on children, he said. “The option you’ve got to save their life is to amputate their leg or their hands or their arms. It was a constant flow of amputations every day.”

Adusumilli operated on a seven year-old girl who was hit by shrapnel from a missile that landed near her family’s tent.

A 15-year-old malnourished boy with a pinhole wound in the middle of his chest.
A 15-year-old malnourished boy with a pinhole wound in the middle of his chest. Photograph: The Guardian

“She came in with her left arm completely blown off. Her family brought the arm in wrapped in a towel and in a bag. She had shrapnel injuries to her abdomen so I had to open up her abdomen and control the bleeding. She ended up having her left arm amputated,” he said.

“She survived but the reason I remember her is because as I was rushing into the operating theatre, she reminded me of my own daughter and it sort of it was very difficult to accept emotionally.”

Unicef estimated that in the first 10 weeks of the conflict alone about 1,000 children lost one or both of their legs to amputations.

The doctors said that many of the limbs could be saved in more normal circumstances but that shortages of medicines and operating theatres limited surgeons to carrying out emergency procedures to save lives. Some children endured amputations without anaesthetic or painkillers afterwards which hindered their recovery alongside the challenges of rampant infections because of unsanitary conditions and lack of antibiotics.

Adusumilli said that, as a result, some children saved on the operating table died later when they could have been saved in different conditions.

“The sad part is that you do what you can to try and help these kids. But at the end of the day, the fact that the hospital is so overcrowded and doesn’t have the resources in intensive care, they just end up dying later on.”

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Veterans For Peace: U.S. Army Major Quits Over Israel [video]

https://israelpalestinenews.org/veterans-for-peace-u-s-army-major-quits-over-israel/Veterans For Peace: U.S. Army Major Quits Over Israel <p data-wpview-marker=

Army Major Harrison Mann has resigned over action in Gaza (photo)

What bothered this intelligence officer specializing in the Middle East the most: his view that the Israelis were targeting Palestinian civilians indiscriminately and that US weapons made it possible.

Veterans For Peace, June 7, 2024

Army Major Harrison Mann will be speaking at the Veterans for Peace national convention in August! Details on attending the online event coming soon.


Veterans for Peace is an organization founded in 1985. Initially made up of US military veterans of World War II, the Korean War and the Vietnam War – later including veterans of the Gulf War, the War in Afghanistan and the Iraq War — as well as peacetime veterans and non-veterans, it has since spread overseas and has an active offshoot in the United Kingdom. The group works to promote alternatives to war.

List of Government Resignees —

  • Josh Paul, director of the State Department’s bureau of political military affairs.
  • Harrison Mann, a U.S. Army major and Defense Intelligence Agency official.
  • Tariq Habash, special assistant in the Education Department’s office of planning.
  • Annelle Sheline, from the State Department’s human rights bureau.
  • Hala Rharrit, an Arabic language spokesperson for the State Department.
  • Lily Greenberg Call, special assistant to the chief of staff in the Interior Department.
  • Alexander Smith, a contractor for USAID.
  • Stacy Gilbert, State Department’s Bureau of Population, Refugees and Migration.

As a Jew I cannot endorse the Gaza catastrophe.” — Lily Greenberg Call.

 

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Stories of survival and suffering: inside Gaza’s Al-Aqsa Hospital

https://mondoweiss.net/2024/06/stories-of-survival-and-suffering-inside-gazas-al-aqsa-hospital/?ml_recipient=125475174341412215&ml_link=125475172204413988&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=2024-06-29&utm_campaign=Daily+Headlines+RSS+Automation

I arrived at Al-Aqsa Martyrs Hospital on March 2 after surviving an attack that killed 14 members of my family. I was the sole survivor in my family. When I arrived at the hospital I was suffering from pelvic and acetabular fractures that kept me from walking or even standing.

Due to the lack of medical care and staff, I was unable to undergo the surgery I needed. Incapable of walking, I was allowed to stay in the hospital, among the many wounded women and children who were suffering the most.

From my bed in Room 7 on the third floor of Al-Aqsa Martyrs Hospital I was able to witness the suffering of more than 25 wounded women and children. My bed was covered on three sides by a yellow curtain but I could still meet the others in my room, many of whom were severely burned and had undergone several surgeries under impossible medical conditions. I met others who received amputations, and many others who lost children. Others waited helplessly for their medical referrals, and many died while doing so. And those were just the cases I was able to see.

Injured Palestinians are brought to Al-Aqsa Martyrs Hospital in Deir El-Balah for treatment following the Israeli attacks in Khan Younis on March 2, 2024. (Photo: Omar Ashtawy/APA Images)
INJURED PALESTINIANS ARE BROUGHT TO AL-AQSA MARTYRS HOSPITAL IN DEIR EL-BALAH FOR TREATMENT FOLLOWING THE ISRAELI ATTACKS IN KHAN YOUNIS ON MARCH 2, 2024. (PHOTO: OMAR ASHTAWY/APA IMAGES)

The majority of the wounded I saw while on my rare trips through the hospital were burn victims. I especially remember several of the women and kids that came to Room 7 burnt and screaming their lungs out in pain.

Karima, 50, got injured during Ramadan’s first days. She lost 52 people of her family; including her son, his wife, and her grandchild among the martyrs. Her back and legs were completely burned. Screaming out of pain, she went for surgeries day after day. She could not undergo any operations during her first week in the hospital due to the severity of her injuries. She waited helplessly to be able to travel to receive the proper treatment, and she died 50 days after being injured. Those days echoed the 50 years she lived, but they were solely full of pain.

Injured Palestinians are brought to Al-Aqsa Martyrs Hospital in Deir El-Balah for treatment following the Israeli attacks in Khan Younis on March 8, 2024. (Photo: Ali Hamad/APA Images)
INJURED PALESTINIANS ARE BROUGHT TO AL-AQSA MARTYRS HOSPITAL IN DEIR EL-BALAH FOR TREATMENT FOLLOWING THE ISRAELI ATTACKS IN KHAN YOUNIS ON MARCH 8, 2024. (PHOTO: ALI HAMAD/APA IMAGES)

On the first evening of Eid, four people came to Room 7 sobbing and screaming. The house beside theirs got bombed and shrapnel hit their gas supply. Nasra, a mother of two, was cooking Eid dinner when the bombing hit. The gas became a fireball within seconds and burned Nasra, 29, her daughter, Qamar, 2, her brother, Yousef, 13, and her nephew, Hasan, 1.

Within a week, little Hasan died. After multiple surgeries, the other three started to heal. Tragically, however, a month after being discharged from the hospital, Yousef’s house was bombed and he was burned again all over his body. He died three days later.

In May, Hala, 22, and her two-year-old son, Esam, were bombed while in their house and they were the sole survivors from under the rubble. Her back and both legs were burned and her son’s face and legs were, too. Both are waiting for the Rafah crossing to open to travel for medical care.

Wesam, 27, had been diagnosed with diabetes. She was living in a tent when a piece of wood cut her foot. The overwhelming number of injuries means that hospitals are not able to give each patient the time and treatment they need to recover. Doctors had no choice but to amputate her foot.

Asma’ tore my heart apart. She is only 16 years old. She looked a very nice, and was a neat and calm girl. While displaced in Al Nuseirat Camp, a piece of shrapnel severely wounded her right hand. Like many others, she waited for her medical referral for treatment. Unlike many others, after about 40 days, she finally received it.

Saja Junaid, 3, receiving treatment in Al-Aqsa Martyrs Hospital in Deir al-Balah, on March 26, 2024. Junaid suffered deep burns on her face as a result of an Israeli bombing that targeted her home in the Jabalia refugee camp in the northern Gaza Strip. (Photo: Omar Ashtawy/APA Images)
SAJA JUNAID, 3, RECEIVING TREATMENT IN AL-AQSA MARTYRS HOSPITAL IN DEIR AL-BALAH, ON MARCH 26, 2024. JUNAID SUFFERED DEEP BURNS ON HER FACE AS A RESULT OF AN ISRAELI BOMBING THAT TARGETED HER HOME IN THE JABALIA REFUGEE CAMP IN THE NORTHERN GAZA STRIP. (PHOTO: OMAR ASHTAWY/APA IMAGES)

While I was in the hospital the wounded children’s floor grew overcrowded with many kids facing deadly injuries. To make room, many of them were transferred to the third floor which was the women’s floor.

Dana, only 3, got wounded by a quadcopter bullet while living in a tent. It cut through her stomach, kidney, and intestines and stopped near her heart. She underwent a difficult surgery, but still had the bullet stuck in her little body. Her father was martyred during the first days of this war but she kept crying for him. “Dad! I want my dad!”

Lubna had the most tragic story I heard. She is 13 and is the eldest daughter in her family. A missile hit her house in Khan Younis and killed her entire family but her. She lost her parents and all her siblings. After undergoing multiple surgeries, her aunts and uncles found it difficult to tell her the truth. They kept telling her that her parents were alive but severely injured. She left the hospital for her uncle’s house, still without knowing she was the only survivor in her family.

I befriended Mira, 6 years old. She was displaced in Deir El Balah and the building she was in got bombed by a shell. A shrapnel injured her right leg, creating a wide-open wound. Screaming, she got her wound cleaned out without any anesthetic. Even so young, and in so much pain, she would still insist on trying to brighten my mood, whenever she saw me sad.

It was seeing the wounded mothers who were suffering from both pain and loss that was the most devastating. It saddened me even more when they forgot about their own pain and thought only about their wounded or dead children.

Lina, 33, lost her two daughters in the bombardment of her neighbor’s home and her back was broken in the attack. Immediately, she underwent an operation. Incapable of walking or even a little movement, she just kept crying for her two babies.

I don’t think that Nasra once screamed from the pain of her own burns. Each time she did cry, she was crying for her injured two-year-old daughter.

Almost all women in Room 7 were mothers. Samar, 38, lost her youngest son, Sanad, and had her arm shattered. Amal, 36, had her leg crushed, and was confined to a surgical bed, leaving her kids, who visited her many times, to fend for themselves. Sabreen, 29, had gaping injuries in both legs, and a newborn baby. Ameer, her son, was only a month old when she was hurt and he was forced to live his second and third months in hospitals with his mother.

Almost 70% of the wounded need more complex surgeries and medical care than could be provided through the decimated health sector in Gaza and need to travel to receive it. I, for one, was not able to receive the proper medical treatment I needed, and I was also not given permission to travel. And there are many more like me, helplessly waiting her turn to travel. Karima died waiting. All patients are now waiting for an unknown amount of time since the Rafah crossing was closed on May 6.

Women and children in Gaza are suffering the most. My three yellow curtains deprived me of seeing most of these beautiful women and children. But hearing their stories, screams, and prayers was my window to the horrors they lived through.

 

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“Beyond Horrific”: Report Says Israel Illegally Used White Phosphorus in Lebanon

White phosphorus burns at up to 1,500 degrees Fahrenheit and burns through skin and bone

new investigation by human rights group Amnesty International has found that Israel likely committed a war crime by using the extremely caustic chemical white phosphorus along the southern border of Lebanon amidst intensified fighting against Hezbollah.

The group analyzed photos and videos surrounding an attack in several populated Lebanese border towns between October 10 and 16, 2023, and found evidence that Israel used white phosphorus smoke artillery shells in attacks on the area. Interviews with doctors and government leaders in the towns of Dhayra, Yarine and Marwahin find that residents were admitted to the hospital reporting suffocation and having trouble breathing.

Videos of the area show white plumes dispersed by artillery consistent with white phosphorus, Amnesty says, while others show chunks descending to the ground and igniting in a way that strongly suggests the substance is white phosphorus. Meanwhile, photojournalists have taken photos showing white phosphorus artillery shells lined up next to other Israeli weapons near the Lebanese border on October 18.

White phosphorus is often used to create a smokescreen in war. Using the substance in civilian areas is considered a war crime due to its extremely dangerous effects on the human body. White phosphorus ignites instantly when in contact with oxygen. It can burn through the human body, including through bone, causing severe, excruciating damage. It can also cause extreme harm when inhaled, with risks of suffocation, cardiovascular failure, coma, death, and other lifelong effects. The substance burns at temperatures of up to 1,500 degrees Fahrenheit.

Some human rights organizations have found that Israeli forces have also used white phosphorus on parts of Gaza, which is one of the most densely populated areas on Earth. Human Rights Watch has said that Israel’s use of the substance in Gaza is a violation of international law.

Amnesty’s report found that Israel used the phosphorus shells indiscriminately, meaning that they did not take care to distinguish whether it was used against civilians or fighters. One official told Amnesty that a screen of heavy white smoke covered Dharya all night and morning on October 16 and 17, with people not even being able to see their hands.

The potentially illegal use of the substance on civilian areas “must be investigated as a war crime,” Amnesty wrote.

“It is beyond horrific that the Israeli army has indiscriminately used white phosphorous in violation of international humanitarian law. The unlawful use of white phosphorus in Lebanon in the town of Dhayra on 16 October has seriously endangered the lives of civilians, many of whom were hospitalized and displaced, and whose homes and cars caught fire,” said Aya Majzoub, Amnesty International’s Deputy Regional Director for the Middle East and North Africa.

In response to the report, Rep. Alexandria Ocasio-Cortez (D-New York) introduced an amendment on Wednesday that would ban Israel from using U.S. military funding to deploy white phosphorus against civilians. It is being proposed as an addition to a supplemental aid bill proposed by Republicans to give Israel $14.3 billion in aid, on top of the billions of dollars the U.S. already gives Israel annually — while also cutting billions from tax enforcement against U.S. millionaires and billionaires.

“Deployment of white phosphorous near populated civilian areas is a war crime,” Ocasio-Cortez said in a statement. “Two independent, well-respected international human rights organizations have formally concluded that Israel is deploying white phosphorous in civilian areas. The United States must adhere to our own laws and policies, which prohibit U.S. aid from assisting forces engaged in gross violations of human rights and international humanitarian law.”

 

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importante petizione in aiuto agli accademici palestinesi

Dear Colleagues

we have read through the open letter to the world of the Academics and University personnel of Gaza published by Al Jazeera on May 29
https://www.aljazeera.com/opinions/2024/5/29/open-letter-by-gaza-academics-and-university-administrators-to-the-world

and we felt it was appropriate and due to help spreading their call and ask of you all to sign a response letter that is posted below.

Signing will signify your intention to brainstorm on how each and all can promote also in practical terms, funding and collaborations in education and organizative tasks, the recreation of a learning environment and the protection of scholars and students in Gaza.

best regards

The letter is open to signatures of individuals and academic networks.

SIGN

https://www.change.org/p/support-and-solidarity-for-the-restart-of-gaza-university-education

Car* collegh*

abbiamo letto la lettera aperta al mondo degli accademici e del personale universitario di Gaza pubblicata da Al Jazeera il 29 maggio

https://www.aljazeera.com/opinions/2024/5/29/open-letter-by-gaza-academics-and-university-administrators-to-the-world

e abbiamo ritenuto opportuno e dovuto contribuire a diffondere il loro appello e chiedere a tutti voi di firmare una lettera di risposta che è pubblicata qui di seguito.

La firma significherà la vostra intenzione di fare un brainstorming su come ciascun* e tutt* possano promuovere, anche in termini pratici, e con finanziamenti e collaborazioni volontarie  nei compiti educativi e organizzativi, la creazione nuovamente di un ambiente di apprendimento e la protezione di studiosi e studenti a Gaza.La lettera può essere firmata da associazioni e reti, e da individui nell’Academia

https://www.change.org/p/support-and-solidarity-for-the-restart-of-gaza-university-education

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about silencing of voices from Gaza-Abu Sitta and Gaza Doctors italiano / english

4 Maggio 2024

Oggi al dr Ghassan Abu Sitta, Rettore della Università di Glasgow, chirurgo plastico e di emergenza è stato negato l’ingresso in Francia dove avrebbe dovuto essere udito al Senato. 

La richiesta di negargli l’entrata in tutti i paesi Schengen si origina dal diniego ad entrare in Germania per una conferenza sulla Palestina il 12 aprile. 

Il Dr. Ghassan è testimone di tutte le aggressioni su Gaza dal 2008 e per il primo mese e mezzo dell’ attuale attacco ha lavorato prima nell’ospedale Al Shifa e poi, quando questo è stato evacuato dall’esercito israeliano, nell’ospedale Battista Al Alhi. Questa lunga esperienza ed il fatto che è testimone di come questa guerra sia stata portata avanti sul campo, fa si che comprenda cosa significa la distruzione quasi totale degli ospedali e dei servizi di salute, delle università e delle scuole di ogni ordine, dei siti archeologi, delle chiese e delle moschee.

Il Dr. Ghassan ci dice che non è un caso che di Gaza si faccia terra bruciata in cui le persone non possono accedere alle cure né al cibo, ma il risultato di un disegno di distruzione totale di un popolo. La sua analisi evidentemente lo ha reso “non gradito” in Germania, che con un arbitrio intollerabile ne ha bloccato l’entrata anche negli altri paesi Europei.

I testimoni dei crimini devono essere silenziati e noi Europei non dobbiamo essere informati da chi meglio può farlo.

Questa complicità con i piani di sterminio di Israele porta alla repressione delle voci solidali; in questo modo questi governi sono collusi nell’ accettazione del piano di soppressione fisica e mentale con cui viene silenziato anche il personale sanitario di Gaza.

Abbiamo appreso che il chirurgo Dr. Adnan Al Bursh, direttore della chirurgia dell’ Ospedale Al Shifa, da cui era stato costretto ad evacuare all’ospedale Al Awda e rapito a dicembre dall’esercito israeliano assieme ad altri colleghi e imprigionato nel campo di prigionia di Ofer, è morto li, il 19 Aprile. 

La notizia è trapelata solo ieri dato che il cadavere del Dr. Adnan è stato “sequestrato”.

Naturalmente, avendo visto le condizioni fisiche dei prigionieri rilasciati – dimagriti, segnati con profonde cicatrici – non è malignità pensare che la sua situazione non fosse dissimile.

La pratica di sequestro del corpo è piuttosto diffusa nei confronti dei prigionieri palestinesi, alla cui famiglia si nega il diritto a una degna sepoltura e a poter piangere i propri morti.

Chiediamo conto dell’esclusione del Dr Abu Sitta dall’EU e chiediamo che i resti del Dr Adnan Al Bursh vengano restituiti ai propri cari.

Fare tacere il portavoce, o uccidere un valente medico testimone degli assalti agli Ospedali di Gaza non sopprimerà il loro messaggio. Israele sta compiendo un genocidio sistematico a Gaza colpendo in modo specifico e con ferocia medici e giornalisti, persone che hanno voce e onore professionale. 

Il ministero della sanità palestinese ha aggiornato a 496 il numero degli operatori sanitari uccisi dal 7 ottobre. Altri 1.500 sono rimasti feriti e almeno 309 sono stati arrestati.

Tra questi circa 100 medici risultano ancora “desaparecidos” dopo essere stati prelevati negli ospedali di Gaza.

Ne chiediamo la liberazione.

Non abbiamo notizie dal 17 di dicembre del direttore dell’ ospedale Al Awda, il Dottor Ahmed Muhanna che era divenuto portavoce internazionale riguardo agli attacchi dell’ esercito israeliano sul sistema sanitario a Gaza.

Non abbiamo notizie dal 23 di novembre sul dottore Mohammad Abu Salmiya, direttore dell’ospedale Al Shifa grazie al cui contributo erano state apportate grandi migliorie alla struttura. Alcune testimonianze di prigionieri rilasciati riportano come il Dottore sia stato torturato gravemente: le braccia spezzate, veniva trascinato con una catena e obbligato a mangiare in una ciotola a terra.

Compagni di prigionia hanno riportato di ferite e torture inflitte da parte dell’ esercito israeliano anche nei confronti  dell’ infermiere Iyad Shaqura e del Dr. Naheed Abu Taaimah, arrestati all’ ospedale Nasser.

Di recente, come riferito dal quotidiano Haaretz, un medico israeliano che lavora nell’ospedale da campo allestito nel centro di detenzione di Sde Teiman ha descritto le condizioni catastrofiche in cui versano i detenuti, incatenati con tutti e quattro gli arti 24 ore al giorno, una condizione che causa gravi ferite alle mani e alle gambe e che ha portato anche ad amputazioni.

Molti membri del personale sanitario dopo essere stati rilasciati hanno parlato di condizioni di prigionia brutali e di pratiche di tortura. Ecco alcuni nomi di questi testimoni: il pediatra  Dr. Said Abdulrahman Maarouf, il Dr. Haytham Ahmed, il Dr. Iyad Zaqout, il Dr. Ahmed Abu Sabha, il chirurgo Dr. Mohammed Al Ron.

Nel frattempo le fosse comuni sia all’ ospedale Al Shifa che all’ ospedale Al Nasser hanno svelato i corpi del personale sanitario assassinato durante la occupazione dei due ospedali che ne ha preceduto la totale distruzione. 

Tra i 400 cadaveri ritrovati all’ ospedale Al Shifa vi sono i corpi della dottoressa Yusra Maqadmeh e di suo figlio Ahmed, chirurgo plastico, di Baha’a Al- Kilani, capo del dipartimento di manutenzione, del dottor Mohammed Zaher Al-Nono, direttore del dipartimento farmaceutico.

Il personale sanitario a Gaza sta lottando con i pochi mezzi che hanno a disposizione, in condizioni di lavoro durissime per fare in modo che il diritto alla vita e alla sopravvivenza non siano del tutto soppressi in Palestina.

Siamo al loro fianco in questa lotta.

Cessi il genocidio, cessi il colonialismo

May 4, 2024

Today Dr Ghassan Abu Sitta, Chancellor of the University of Glasgow, plastic and emergency surgeon was denied entry to France where he was due to be heard in the Senate.

The request to deny him entry to all Schengen countries stems from the refusal to enter Germany for a conference on Palestine on April 12, deemed preemptively dangerous for public order.

Dr. Ghassan has witnessed all the attacks on Gaza since 2008 and for the first month and a half of the current attack he worked first in the Al Shifa hospital and then, when it was evacuated by the Israeli army, in the Baptist hospital Al Alhi. This long experience and the fact that he is a witness to how this war was carried out in the field means that he understands what is motivagting the almost total destruction of hospitals and health services, of universities and schools of all levels, of archaeological sites, churches and mosques.

Dr. Ghassan tells us that it is not a coincidence that Gaza became a scorched earth where people cannot access care or food, but the result of a plan for the total destruction of a people. His analysis evidently made him “unwelcome” in Germany, which with intolerable arbitrariness issued a ban for all Schengen European countries.

Witnesses to crimes are being silenced and we Europeans must not be informed by those who can do it best. This amounts to complicity with Israel’s extermination plan and collusion in the physical and mental suppression with which the healthcare personnel of Gaza is also silenced.

We learned that the surgeon Dr. Adnan Al Bursh, director of surgery at Al Shifa Hospital, forcedly evacuate to Al Awda Hospital and among the health personnel kidnapped there in December by the Israeli army, and imprisoned in the prison camp of Ofer, died there on April 19th. The news only leaked yesterday as Dr. Adnan’s body was “seized”.

Having seen the physical condition of the released prisoners – emaciated, marked with deep scars – it is not malicious to think that his situation was not dissimilar. The practice of body seizure is quite widespread among Palestinian prisoners, whose family is denied the right to a dignified burial and to be able to mourn their dead.

We call that the European Institutions account for Dr Abu Sitta’s exclusion from the EU and demand that Dr Adnan Al Bursh’s remains be returned to his loved ones.

Silencing the spokesperson, or killing a talented doctor who witnessed the attacks on Gaza hospitals will not suppress their message. Israel is carrying out a systematic genocide in Gaza by specifically and ferociously targeting doctors and journalists, people who have a voice and professional honor.

The Palestinian Ministry of Health has updated the number of health workers killed since October 7 to 496. Another 1,500 were injured and at least 309 were arrested.

Among these, around 100 doctors are still “disappeared” after being taken from hospitals in Gaza.

We ask for their release.

We have had no news since December 17th about the director of Al Awda hospital, Doctor Ahmed Muhanna a spokesperson about the Israeli army’s attacks on the healthcare system in Gaza.

We have had no news since November 23rd about doctor Mohammad Abu Salmiya, director of Al Shifa hospital, abducted at the time of the first severe attack to this hospital. Some testimonies from released prisoners report how he has been severely tortured: his arms were broken, he was dragged with a chain and forced to eat in a bowl on the ground.

Fellow prisoners also reported wounds and torture inflicted by the Israeli army on nurse Iyad Shaqura and Dr. Naheed Abu Taaimah, arrested at Nasser hospital.

Recently, as reported by the newspaper Haaretz, an Israeli doctor working in the field hospital set up in the Sde Teiman detention center for Gaza detainees, described the catastrophic conditions in which these detainees find themselves, with all four limbs chained 24 hours a day, a condition that causes serious injuries to the hands and legs and has also led to amputations.

Many health workers spoke of brutal prison conditions and torture practices after their release. Here are some names of these witnesses: pediatrician Dr. Said Abdulrahman Maarouf, Dr. Haytham Ahmed, Dr. Iyad Zaqout, Dr. Ahmed Abu Sabha, surgeon Dr. Mohammed Al Ron.

Meanwhile, the mass graves at both the Al Shifa hospital and the Al Nasser hospital have revealed the bodies of healthcare personnel murdered during the occupation of the two hospitals which preceded their destruction.

Among the 400 corpses found at Al Shifa hospital are the bodies of Dr. Yusra Maqadmeh and her son Ahmed, a plastic surgeon, Baha’a Al-Kilani, head of the maintenance department, Dr. Mohammed Zaher Al-Nono, director of the pharmaceutical department.

The healthcare personnel in Gaza are struggling with the few means they have at their disposal, in very harsh working conditions to ensure that the right to life and survival are not completely suppressed in Palestine.

We stand with them in this fight.

Stop the genocide, stop colonialism.

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