Italian
Stanno emergendo prove che più della metà degli israeliani uccisi erano combattenti, che le forze israeliane erano responsabili della morte di alcuni dei loro stessi civili e che Tel Aviv abbia diffuso false storie sulle “atrocità di Hamas” per giustificare il suo devastante attacco aereo contro i civili palestinesi a Gaza.
Fonte: English version
Di Robert Inlakesh e Sharmine Narwani – 24 ottobre 2023
Due settimane dopo l’assalto di Hamas contro Israele il 7 ottobre, un quadro più chiaro di ciò che è accaduto, chi è morto e chi ha ucciso, sta ora cominciando a emergere.
Invece del massacro di civili su vasta scala rivendicato da Israele, i dati incompleti pubblicati dal quotidiano ebraico Haaretz mostrano che quasi la metà degli israeliani uccisi quel giorno erano in realtà combattenti: soldati o poliziotti.
Nel frattempo, due settimane di generalizzate notizie da parte dei media occidentali secondo cui Hamas avrebbe ucciso circa 1.400 civili israeliani durante il suo attacco militare del 7 ottobre sono servite ad infiammare gli animi e a creare il clima per la distruzione incontrollata della Striscia di Gaza e della sua popolazione civile da parte di Israele.
I resoconti del bilancio delle vittime israeliane sono stati filtrati e distorti per suggerire che quel giorno si sia verificato un massacro di civili su larga scala, con neonati, bambini e donne i principali obiettivi di un attacco terroristico.
Ora, le statistiche dettagliate sulle vittime pubblicate dal quotidiano israeliano Haaretz dipingono un quadro completamente diverso. A partire dal 23 ottobre, il quotidiano ha rilasciato informazioni su 683 israeliani uccisi durante l’attacco guidato da Hamas, compresi i loro nomi e i luoghi della loro morte il 7 ottobre.
Di queste, 331 vittime, ovvero il 48,4%, sono state confermate essere soldati e agenti di polizia, molti dei quali donne. Altri 13 sono descritti come membri del servizio di soccorso, e i restanti 339 sono apparentemente considerati civili.
Sebbene questo elenco non sia completo e rappresenti solo circa la metà del bilancio delle vittime dichiarato da Israele, quasi la metà delle persone uccise nello scontro sono chiaramente identificate come combattenti israeliani.
Inoltre, finora non sono stati registrati decessi di bambini di età inferiore ai tre anni, il che mette in discussione la narrativa israeliana secondo cui i bambini erano presi di mira dai combattenti della Resistenza Palestinese. Delle 683 vittime totali segnalate finora, sette erano di età compresa tra 4 e 7 anni e nove di età compresa tra 10 e 17 anni. Le restanti 667 vittime sembrano essere adulti.
Il numero e la percentuale di civili e bambini palestinesi tra quelli uccisi dai bombardamenti israeliani nelle ultime due settimane, oltre 5.791 morti, inclusi 2.360 bambini e 1.292 donne, e più di 18.000 feriti, sono di gran lunga superiori a qualsiasi di queste cifre israeliane emerse dagli eventi del 7 ottobre.
Rianalizzare gli eventi
L’audace Operazione militare guidata da Hamas, nome in codice Onda di Al-Aqsa, si è svolta con un drammatico attacco all’alba intorno alle 6:30 (ora della Palestina) del 7 ottobre. Ciò è stato accompagnato da un frastuono di sirene che hanno rotto il silenzio della Gerusalemme Occupata, segnalando l’inizio di quello che è diventato un evento straordinario nei 75 anni di storia dello Stato di Occupazione.
Secondo il portavoce dell’ala armata di Hamas, le Brigate Al-Qassam, circa 1.500 combattenti palestinesi hanno attraversato la formidabile barriera di separazione Gaza-Israele.
Tuttavia, questa fuga non si è limitata alle sole forze di Hamas; Numerosi combattenti armati appartenenti ad altre fazioni come la Jihad Islamica Palestinese (PIJ) hanno successivamente violato la linea dell’armistizio, insieme ad alcuni palestinesi non affiliati ad alcuna milizia organizzata.
Quando è diventato evidente che non si trattava di una normale Operazione di Resistenza, centinaia di video hanno rapidamente inondato i social media, raffiguranti truppe e coloni israeliani morti, feroci scontri a fuoco tra varie parti e israeliani catturati e portati a Gaza.
Questi video sono stati girati con i telefoni israeliani o diffusi da combattenti palestinesi che filmavano la loro stessa Operazione. Fu solo qualche ora dopo che iniziarono ad emergere accuse più raccapriccianti e decisamente dubbie.
Accuse infondate di “atrocità di Hamas”
Aviva Klompas, ex autrice di discorsi per la missione israeliana alle Nazioni Unite, è stata la prima israeliana autorevole a diffondere la notizia secondo cui c’erano notizie di “ragazze israeliane violentate e i loro corpi trascinati per strada”.
Ha pubblicato questo post su X (ex Twitter) alle 21:18 (ora della Palestina), il 7 ottobre, sebbene un editoriale di Klompa pubblicato su Newsweek alle 00:28 (ora della Palestina), l’8 ottobre, non facesse menzione di alcuna violenza sessuale.
Klompas è anche la co-fondatrice di Boundless Israel, un “gruppo di pensiero attivo” che lavora “per rivitalizzare l’istruzione in Israele e intraprendere azioni collettive coraggiose per combattere l’odio verso gli ebrei”. Un gruppo di beneficenza “impenitentemente sionista” che lavora per promuovere le narrazioni israeliane sui social media.
L’unico caso pubblicizzato come prova di stupro era quello di una giovane donna tedesco-israeliana di nome Shani Louk, che è stata filmata a faccia in giù nel retro di un camioncino e creduta morta.
Non era chiaro se i combattenti filmati con Louk nel veicolo diretto a Gaza fossero membri di Hamas, poiché non indossavano le uniformi o le insegne delle truppe di Al-Qassam identificabili in altri video di Hamas, alcuni indossavano addirittura abiti civili e sandali.
Più tardi, sua madre affermò di avere le prove che sua figlia era ancora viva, ma aveva subito una grave ferita alla testa. Ciò risulta vero dalle informazioni rilasciate da Hamas secondo le quali Louk era in cura per le sue ferite in un non meglio specificato ospedale di Gaza.
A complicare ulteriormente le cose, il giorno in cui sono emerse queste accuse di stupro, gli israeliani non avrebbero avuto accesso a queste informazioni. Le loro forze armate non erano ancora entrate in molte, se non nella maggior parte, delle aree liberate dalla Resistenza ed erano ancora impegnate in scontri armati con loro su più fronti.
Tuttavia, queste accuse di stupro hanno preso vita propria, tanto che lo stesso Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato, durante un discorso giorni dopo, che le donne israeliane erano state “violentate, aggredite e sfoggiate come trofei” dai combattenti di Hamas. È importante notare che l’articolo di The Forward (l’Avanti) dell’11 ottobre riportava che l’esercito israeliano aveva riconosciuto di non avere prove di tali accuse in quel momento.
Quando in seguito l’esercito fece le proprie accuse di decapitazioni, amputazioni e stupri, la Reuters sottolineò che “il personale militare che supervisionava il processo di identificazione non presentava alcuna prova forense sotto forma di immagini o referti clinici”. Ad oggi non è stata presentata alcuna prova credibile di queste atrocità.
Altre accuse oltraggiose, come la storia che Hamas “ha decapitato 40 bambini”, hanno fatto notizia e riempito le prime pagine di innumerevoli giornali occidentali. Perfino Biden ha affermato di aver visto “foto di terroristi che decapitano bambini”. Le affermazioni risalgono al colono e soldato riservista israeliano David Ben Zion, che in precedenza aveva istigato violenti attacchi contro i palestinesi e chiesto che la città di Huwara in Cisgiordania fosse spazzata via. Non è mai stata prodotta alcuna prova a sostegno di queste affermazioni e la stessa Casa Bianca ha confermato in seguito che Joe Biden non aveva mai visto foto del genere.
Il piano di Hamas
Ci sono poche o nessuna prova credibile che i combattenti palestinesi avessero un piano per, o deliberatamente cercato di, uccidere o danneggiare i civili israeliani disarmati il 7 ottobre. Dai filmati disponibili, vediamo che si sono impegnati principalmente con le forze armate israeliane, causando la morte di centinaia di soldati di occupazione. Come ha chiarito il 12 ottobre il Portavoce delle Brigate Qassam, Abu Obeida:
“L’Operazione Onda di Al-Aqsa mirava a distruggere la Divisione Gaza (un’unità dell’esercito israeliano ai confini di Gaza) che è stata attaccata in 15 punti, seguita dall’attacco di altri 10 obiettivi militari. Abbiamo attaccato il sito di Zikim e diversi altri insediamenti fuori dal quartier generale della Divisione Gaza”.
Abu Obeida e altri funzionari della Resistenza affermano che l’altro obiettivo chiave della loro operazione era prendere prigionieri israeliani da poter scambiare con i circa 5.300 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, molti dei quali sono donne e minori.
Il vice capo dell’ufficio politico di Hamas Saleh Al-Arouri, in un’intervista dopo l’Operazione, ha sottolineato: “Abbiamo un numero elevato e qualitativo e alti ufficiali. Tutto quello che possiamo dire ora è che la libertà dei nostri prigionieri è a portata di mano”.
Entrambe le parti giocano a questo gioco: dall’inizio dell’assalto militare a Gaza, Israele ha rastrellato e imprigionato più di 1.200 palestinesi nella Cisgiordania Occupata. Ad oggi ci sono stati 38 accordi di scambio di prigionieri tra le fazioni della Resistenza e Tel Aviv, accordi a cui gli israeliani spesso resistono fino all’ultimo minuto.
Mentre arrivano queste testimonianze, stanno emergendo rapporti secondo cui le autorità israeliane hanno intensificato i maltrattamenti, le torture e persino l’uccisione dei prigionieri palestinesi sotto la loro custodia, una violazione delle Convenzioni di Ginevra, che, ironicamente, un attore non statale come Hamas sembra aver seguito alla lettera.
In relazione agli eventi del 7 ottobre, ci sono sicuramente alcuni video che ritraggono israeliani forse disarmati, uccisi nei loro veicoli o all’ingresso delle strutture, affinché le truppe palestinesi potessero accedervi.
Ci sono anche video che mostrano i combattenti impegnati in sparatorie con le forze armate israeliane, mentre nel mezzo c’erano israeliani disarmati che si mettevano al riparo, oltre a video di combattenti che sparavano verso le case e lanciavano granate nelle aree fortificate. Le testimonianze oculari suggeriscono anche che le granate siano state lanciate nei rifugi antiaerei, anche se non è chiaro da chi.
Anche durante il “festival di pace” israeliano, che è stato citato come l’attacco più mortale commesso dai combattenti palestinesi durante la loro operazione, sono emersi video che sembravano mostrare le forze israeliane che aprivano il fuoco attraverso una folla di civili disarmati, verso obiettivi che credevano fossero membri di Hamas. ABC News ha anche riferito che un carro armato israeliano si era diretto verso il luogo del festival.
Un massacro israeliano nel Kibbutz Be’Eri?
Nel suo rapporto sugli eventi del Kibbutz Be’eri, la ABC News ha fotografato pezzi di artiglieria simili a munizioni israeliane all’esterno di una casa bombardata. Il giornalista David Muir ha riferito che in seguito all’attacco sono stati ritrovati combattenti di Hamas, coperti da teli di plastica.
Inoltre, i video della scena mostrano case che sembrano essere state colpite da munizioni che i combattenti di Hamas non posseggono. Muir ha riferito che circa 14 persone sono state tenute in ostaggio in un edificio da combattenti palestinesi.
Un articolo di Haaretz in lingua ebraica pubblicato il 20 ottobre, che appare solo in inglese in un articolo di Mondoweiss da leggere assolutamente, dipinge una storia molto diversa di ciò che accadde a Be’eri quel giorno. Un residente del Kibbutz che era lontano da casa, la cui compagna è stata uccisa nello scontro, rivela nuovi sorprendenti dettagli:
“Gli trema la voce quando gli viene in mente la sua compagna, che in quel momento era assediata nella sua casa. Secondo lui, solo lunedì notte (9 ottobre) e solo dopo che i comandanti sul campo avevano preso decisioni difficili, compreso il bombardamento delle case con tutti i loro occupanti all’interno per eliminare i terroristi insieme agli ostaggi, l’IDF ha ripreso completamente il controllo del kibbutz. Il prezzo fu terribile: furono uccise almeno 112 persone a Be’Eri. Altri sono stati rapiti. Ieri, 11 giorni dopo il massacro, in una delle case distrutte sono stati scoperti i corpi di una madre e di suo figlio. Si ritiene che altri corpi giacciano ancora tra le macerie”.
Le prove fotografiche della distruzione di Be’Eri confermano il suo racconto. Solo le munizioni pesanti dell’esercito israeliano avrebbero potuto distruggere le abitazioni in questo modo.
Comportamenti di Hamas: prove contro accuse
Yasmin Porat, una sopravvissuta del Kibbutz Be’eri, ha detto in un’intervista per un programma radiofonico israeliano, condotto dall’emittente di Stato Kan, che le forze israeliane “hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi”, affermando inoltre che “c’era un fuoco incrociato molto, molto pesante” e persino bombardamenti di carri armati.
Porat aveva partecipato al festival di Nova e aveva testimoniato del trattamento umano ricevuto durante le diverse interviste condotte con i media israeliani. Ha spiegato che quando è stata tenuta prigioniera, i combattenti di Hamas “sono stati civili”, dicendole in ebraico: “Guardami bene, non ti uccideremo. Vogliamo portarti a Gaza. Non ti uccideremo. Quindi stai calma, non morirai. Ha anche aggiunto quanto segue:
“Ci davano da bere quando avevamo sete. Quando vedevano che eravamo nervosi ci rassicuravano. È stato molto spaventoso ma nessuno ci ha maltrattato. Fortunatamente non mi è successo niente di simile a quello che ho sentito dai media”.
Sempre più spesso, e con orrore di alcuni funzionari e organi di stampa israeliani, testimoni oculari israeliani e sopravvissuti allo spargimento di sangue testimoniano di essere stati trattati con umanità dai combattenti palestinesi. Il 24 ottobre, l’emittente di stato israeliana Kan ha lamentato il fatto che all’ostaggio Yocheved Lifshitz, rilasciata da Hamas il giorno prima, sia stato permesso di rilasciare dichiarazioni in diretta.
Mentre veniva consegnata agli intermediari della Croce Rossa, l’anziana prigioniera israeliana è stata ripresa dalla telecamera mentre si voltava per stringere la mano del suo rapitore di Hamas nel suo ultimo addio. La trasmissione in diretta di Lifshitz, in cui ha parlato del suo calvario durato due settimane, ha “umanizzato” ancora di più i suoi rapitori di Hamas mentre raccontava la sua vita quotidiana con i combattenti:
“Sono stati molto gentili. Si sono presi cura di noi. Ci hanno dato delle medicine e siamo stati curati. Uno degli uomini con noi è rimasto gravemente ferito in un incidente in moto. I loro paramedici (di Hamas) si sono presi cura delle sue ferite, gli hanno dato medicine e antibiotici. Le persone erano amichevoli. Hanno mantenuto il posto molto pulito. Erano molto preoccupati per noi”.
Più domande che risposte
È essenziale riconoscere che in molti resoconti dei giornalisti occidentali sul campo, la maggior parte delle informazioni riguardanti le azioni dei combattenti di Hamas provengono dall’esercito israeliano, un partecipante attivo al conflitto.
Le prove emergenti ora indicano che esiste un’alta probabilità, soprattutto a causa dell’entità dei danni infrastrutturali, che le forze militari israeliane possano aver deliberatamente ucciso prigionieri, sparato su obiettivi sbagliati o scambiato israeliani per palestinesi nei loro scontri a fuoco. Se l’unica fonte di informazione per una grave affermazione fatta è l’esercito israeliano, allora bisogna tener conto del fatto che ha motivo di nascondere i casi di fuoco amico.
Il fuoco amico israeliano dilagava, anche nei giorni successivi, da parte di un esercito con pochissima esperienza di combattimento reale. Nella città di Ashkelon (Askalan) l’8 ottobre, soldati israeliani hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco e gridato insulti al corpo di un uomo che credevano fosse un combattente di Hamas, ma in seguito si sono resi conto di aver giustiziato un israeliano. Questo è solo uno dei tre esempi di fuoco amico avvenuti in un giorno, che hanno provocato l’uccisione di israeliani da parte delle loro stesse truppe.
Nella nebbia della guerra, le parti in conflitto hanno prospettive diverse su ciò che è accaduto durante l’attacco iniziale e sulle sue conseguenze. Non è in discussione il fatto che i gruppi armati palestinesi abbiano inflitto perdite significative all’esercito israeliano, ma nelle settimane e nei mesi a venire sarà in corso un ampio dibattito su tutto il resto.
È urgentemente necessaria un’indagine internazionale indipendente e imparziale, che abbia accesso alle informazioni di tutte le parti coinvolte nel conflitto. Né gli israeliani né gli americani saranno d’accordo su questo, il che di per sé suggerisce che Tel Aviv ha molto da nascondere.
Nel frattempo, i civili palestinesi a Gaza subiscono attacchi continui e indiscriminati con le armi pesanti più sofisticate esistenti, vivendo sotto la minaccia persistente di sfollamento forzato e potenzialmente irreversibile. Questo bombardamento aereo israeliano è stato reso possibile solo dal flusso di storie infondate sulle “atrocità di Hamas” che i media hanno cominciato a diffondere a partire dal 7 ottobre.
Robert Inlakesh è un analista politico, giornalista e regista di documentari attualmente residente a Londra, Regno Unito. È stato corrispondente e residente nei Territori Palestinesi Occupati e ha lavorato con RT, Mint Press, MEMO, Quds News, TRT, Al-Mayadeen English e altri.
Sharmine Narwani è un socio anziano al St. Antony’s College, Università di Oxford.
Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
English
Two weeks after the Hamas breakout assault on Israel on 7 October, a clearer picture of what happened – who died, and who killed – is now beginning to emerge.
Instead of the wholescale massacre of civilians claimed by Israel, incomplete figures published by the Hebrew newspaper Haaretz show that almost half the Israelis killed that day were in fact combatants – soldiers or police.
In the interim, two weeks of blanket western media reporting that Hamas allegedly killed around 1,400 Israeli civilians during its 7 October military attack has served to inflame emotions and create the climate for Israel’s unconstrained destruction of the Gaza Strip and its civilian population.
Accounts of the Israeli death toll have been filtered and shaped to suggest that a wholesale civilian massacre occurred that day, with babies, children, and women the main targets of a terror attack.
Now, detailed statistics on the casualties released by the Israeli daily Haaretz paint a starkly different picture. As of 23 October, the news outlet has released information on 683 Israelis killed during the Hamas-led offensive, including their names and locations of their deaths on 7 October.
Of these, 331 casualties – or 48.4 percent – have been confirmed to be soldiers and police officers, many of them female. Another 13 are described as rescue service members, and the remaining 339 are ostensibly considered to be civilians.
While this list is not comprehensive and only accounts for roughly half of Israel’s stated death toll, almost half of those killed in the melee are clearly identified as Israeli combatants.
There are also so far no recorded deaths of children under the age of three, which throws into question the Israeli narrative that babies were targeted by Palestinian resistance fighters. Of the 683 total casualties reported thus far, seven were between the ages of 4 and 7, and nine between the ages of 10 and 17. The remaining 667 casualties appear to be adults.
The numbers and proportion of Palestinian civilians and children among those killed by Israeli bombardment over the past two weeks – over 5,791 killed, including 2,360 children and 1,292 women, and more than 18,000 injured – are far higher than any of these Israeli figures from the events of 7 October.
Revisiting the scene
The daring Hamas-led military operation, codenamed Al-Aqsa Flood, unfolded with a dramatic dawn raid at approximately 6:30 AM (Palestine time) on 7 October. This was accompanied by a cacophony of sirens breaking the silence of occupied Jerusalem, signaling the start of what became an extraordinary event in the occupation state’s 75-year history.
As per the spokesperson of Hamas’ armed wing, the Al-Qassam Brigades, around 1,500 Palestinian fighters crossed the formidable Gaza-Israel separation barrier.
However, this breakout was not limited to Hamas forces alone; numerous armed fighters belonging to other factions such as Palestinian Islamic Jihad (PIJ) later breached the armistice line, along with some Palestinians unaffiliated with any organized militia.
As it became apparent this was no ordinary resistance operation, hundreds of videos quickly flooded social media, most of which have been viewed by The Cradle, depicting dead Israeli troops and settlers, fierce gunfire battles between various parties, and Israelis being taken captive into Gaza.
These videos were either taken on the phones of Israelis, or were released by Palestinian fighters filming their own operation. It wasn’t until hours later that more gruesome and downright dubious allegations began to surface.
Unsubstantiated allegations of ‘Hamas atrocities’
Aviva Klompas, a former speechwriter for the Israeli mission to the UN, was the first Israeli of note to spread the claim that there were reports of “Israeli girls being raped and their bodies dragged through the street.”
She posted this on X at 9:18 PM (Palestine time), on 7 October, although an op-ed Klompa published with Newsweek at 12:28 AM (Palestine time), on 8 October, made no mention of any sexual violence.
Klompas is also the co-founder of Boundless Israel, a “think-action tank” that works “to revitalize Israel education and take bold collective action to combat Jew-hatred.” An “unapologetically Zionist” charitable group that works to promote Israeli narratives on social media.
The one case touted as proof of rape was that of a young German-Israeli woman named Shani Louk, who was filmed face down in the back of a pickup truck and was widely assumed dead.
It was unclear whether the fighters filmed with Louk in the Gaza-bound vehicle were members of Hamas, as they do not sport the uniforms or insignia of the Al-Qassam troops identifiable in other Hamas videos – some even wore casual civilian clothing and sandals.
Later, her mother claimed to have evidence that her daughter was still alive, but had suffered a severe head wound. This rings true with information released by Hamas that indicated Louk was being treated for her injuries at an unspecified Gaza hospital.
Complicating matters further, on the day these rape allegations arose, Israelis would not have had access to this information. Their armed forces had not yet entered many, if not most, of the areas liberated by the resistance and were still engaged in armed clashes with them on multiple fronts.
Nevertheless, these rape claims took on a life of their own, with even US President Joe Biden alleging, during a speech days later, that Israeli women were “raped, assaulted, paraded as trophies” by Hamas fighters. It is important to note that The Forward’s article on 11 October reported that the Israeli military acknowledged they had no evidence of such allegations at that point.
When the army later made its own allegations of decapitations, foot amputations, and rape, Reuters pointed out that “the military personnel overseeing the identification process didn’t present any forensic evidence in the form of pictures or medical records.” To date, there is no credible evidence of these atrocities that has been presented.
Other outrageous allegations, such as the story of Hamas “beheading 40 babies‘ made headlines and the front pages of countless western news outlets. Even Biden claimed to have seen “confirmed photos of terrorists beheading babies.” The claims trace back to Israeli reserve settler and soldier David Ben Zion, who has previously incited violent riots against Palestinians and called for the West Bank town of Huwara to be wiped out. No evidence was ever produced to support these claims and the White House itself confirmed later that Joe Biden had never seen such photos.
The Hamas plan
There is little to no credible evidence that Palestinian fighters had a plan to – or deliberately sought to – kill or harm unarmed Israeli civilians on 7 October. From the available footage, we witness them engaging primarily with armed Israeli forces, accounting for the deaths of hundreds of occupation soldiers. As Qassam Brigades’ Spokesman Abu Obeida made clear on 12 October:
“Al-Aqsa Flood operation aimed to destroy the Gaza Division (an Israeli army unit on Gaza’s borders) which was attacked at 15 points, followed by attacking 10 further military intervention points. We attacked the Zikim site and several other settlements outside the Gaza Division headquarters.”
Abu Obeida and other resistance officials claims that the other key objective of their operation was to take Israeli prisoners that they could exchange for the approximately 5,300 Palestinian prisoners held in Israeli detention centers, many of whom are women and children.
Hamas Deputy Head of the Political Bureau of Saleh Al-Arouri, in an interview after the operation, stressed: “We have a large and qualitative number and senior officers. All we can say now is that the freedom of our prisoners is at the doorstep.”
Both sides play this game: Since the start of its military assault on Gaza, Israel has rounded up and imprisoned more than 1,200 Palestinians in the occupied West Bank. To date there have been 38 prisoner exchange deals between the resistance factions and Tel Aviv – deals that Israelis often resist to the very last minute.
While these kinds of testimonies trickle out, reports are emerging that Israeli authorities have dialed up the mistreatment, torture, and even killing of Palestinian prisoners in their custody – a violation of the Geneva Conventions, which ironically, a non-state actor like Hamas appears to have followed to the letter.
In relation to the events of 7 October, there are certainly some videos depicting possibly unarmed Israelis, killed in their vehicles or at entrances to facilities, so that Palestinian troops could gain access.
There are also videos which show the fighters engaging in shootouts with armed Israeli forces, where there were unarmed Israelis taking cover in between, in addition to videos of fighters shooting toward houses and throwing grenades into fortified areas. Eyewitness testimony also suggests grenades were thrown into bomb shelters, though by whom is unclear.
Even at the Israeli “peace rave”, which has been cited as the single deadliest attack committed by Palestinian fighters during their operation, videos emerged that appeared to show Israeli forces opening fire through a crowd of unarmed civilians, toward targets they believed to be Hamas members. ABC News also reported that an Israeli tank had headed to the site of the festival.
An Israeli massacre in Kibbutz Be’eri?
In its report on the events at Be’eri Kibbutz, ABC News photographed artillery pieces resembling Israeli munitions outside a bombed-out home. The reporter, David Muir, mentioned that Hamas fighters, covered in plastic bags, were found in the aftermath.
Additionally, videos of the scene show homes that appear to have been struck by munitions that Hamas fighters did not possess. Muir reported that about 14 people were held hostage in a building by Palestinian fighters.
A Hebrew-language Haaretz article published on 20 October, which only appears in English in a must-read Mondoweiss article, paints a very different story of what went down in Be’eri that day. A Kibbutz resident who had been away from his home – whose partner was killed in the melee – reveals stunning new details:
“His voice trembles when his partner, who was besieged in her home shelter at the time, comes to mind. According to him, only on Monday night (9 October) and only after the commanders in the field made difficult decisions — including shelling houses with all their occupants inside in order to eliminate the terrorists along with the hostages — did the IDF complete the takeover of the kibbutz. The price was terrible: at least 112 Be’eri people were killed. Others were kidnapped. Yesterday, 11 days after the massacre, the bodies of a mother and her son were discovered in one of the destroyed houses. It is believed that more bodies are still lying in the rubble.”
Photo evidence of the destruction in Be’eri corroborates his account. Only the heavy munitions of the Israeli army could have destroyed residential homes in this manner.
Hamas behaviors: Evidence vs allegations
Yasmin Porat, a survivor from Kibbutz Be’eri, said in an interview for an Israeli radio-show, hosted by state-broadcaster Kan, that Israeli forces “eliminated everyone, including the hostages,” going on to state that “there was very, very heavy crossfire” and even noted tank shelling.
Porat had attended the Nova rave and testified to the humane treatment throughout different interviews she conducted with Israeli media. She explained that when she was held prisoner, the Hamas fighters “guarded us”, telling her in Hebrew to “Look at me well, we’re not going to kill you. We want to take you to Gaza. We are not going to kill you. So be calm, you’re not going to die.” She also added the following:
“They give us something to drink here and there. When they see we are nervous they calm us down. It was very frightening but no one treated us violently. Luckily nothing happened to me like what I heard in the media.”
Increasingly, and to the horror of some Israeli officials and news outlets, Israeli eyewitnesses and survivors of the bloodshed are testifying that they were treated well by Palestinian fighters. On 24 October, Israeli state broadcaster Kan bemoaned the fact that prisoner Yocheved Lifshitz, released by Hamas the day before, was allowed to make statements live on air.
As she was handed over to Red Cross intermediaries, the elderly Israeli female captive was caught on camera turning back to squeeze the hand of her Hamas captor in her last goodbyes. Lifshitz’s live broadcast, in which she spoke about her two-week ordeal, “humanized” her Hamas captors even further as she recounted her daily life with the fighters:
“They were very friendly toward us. They took care of us. We were given medicine and were treated. One of the men with us was badly injured in a motorbike accident. Their (Hamas) paramedics looked after his wounds, he was given medicine and antibiotics. The people were friendly. They kept the place very clean. They were very concerned about us.”
More questions than answers
It is essential to recognize that in many reports by western journalists on the ground, the majority of information regarding the actions of Hamas fighters comes from the Israeli army – an active participant in the conflict.
Emerging evidence now indicates that there is a high probability, especially due to the scale of the infrastructural damage, that Israeli military forces could have deliberately killed captives, fired on incorrect targets, or mistaken Israelis for Palestinians in their firefights. If the only source of information for a serious claim made is the Israeli army, then it has to be taken into account that they have reason to conceal cases of friendly fire.
Israeli friendly fire was rampant, even in the days that followed, from an army with very little actual combat experience. In the city of Ashkelon (Askalan) on 8 October, Israeli soldiers shot dead and shouted insults at the body of a man they believed to have been a Hamas fighter, yet later realized they had executed a fellow Israeli. This is just one of three such examples of friendly fire in one day, resulting in the killing of Israelis by their own troops.
Amid the fog of war, parties to the conflict have different perspectives on what occurred during the initial raid and its aftermath. It’s not disputed that Palestinian armed groups inflicted significant losses on the Israeli military, but there will be plenty of ongoing debate regarding everything else in the weeks and months to come.
An independent, impartial, international investigation is urgently needed, one that has access to information from all sides involved in the conflict. Neither the Israelis nor the Americans will agree to this, which itself suggests that Tel Aviv has much to conceal.
In the meantime, Palestinian civilians in Gaza endure ongoing, indiscriminate attacks with the most sophisticated heavy weapons in existence, living under the persistent threat of forced and potentially irreversible displacement. This Israeli air blitz was made possible only by the flood of unsubstantiated ‘Hamas atrocities’ stories that media began to circulate on and after 7 October.